Maurice Stierl (a destra, di spalle) saluta l'equipaggio di Open Arms. Credits: Friedrich Bungert, Sea-Watch
Maurice Stierl (a destra, di spalle) saluta l'equipaggio di Open Arms. Credits: Friedrich Bungert, Sea-Watch

Alarm Phone: "L'Europa è la vera collaboratrice dei trafficanti"

Intervista a Maurice Stierl, co-fondatore di Alarm phone, linea telefonica di emergenza nata per supportare i migranti che tentano di raggiungere l'Europa. L'emergenza coronavirus ha peggiorato la situazione nel Mediterraneo e si teme una strage

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

Aggiornato il giorno 14 aprile 2020

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Questa intervista a Maurice Stierl, co-fondatore di Alarm phone, linea telefonica d'emergenza per i migranti che tentano di raggiungere l'Europa, è stata realizzata a metà febbraio 2020 a Berlino ed è stata pubblicata sul secondo numero (marzo-aprile) de lavialibera. Nelle ultime settimane l'emergenza coronavirus ha peggiorato la situazione nel Mediterraneo: i barconi carichi di migranti continuano a partire, ma Italia, Malta e Libia hanno dichiarato i loro porti non sicuri. Si teme una strage. Drammatico è l'audio registrato dai centralini di Alarm phone, diffuso dall'organizzazione non governativa italiana Mediterranea Saving Humans, in cui si sentono le grida di una ragazza di 21 anni che chiede aiuto. L'imbarcazione è stata raggiunta da una nave dell'Ong basca Salvamento Maritimo Humanitario, Aita Mari, a cui Malta nega lo sbarco. Inoltre, non si sa nulla di almeno un altro natante che nei giorni scorsi ha contattato Alarm phone. "Ma ce ne potrebbero essere molti di più", dice Stierl. Sea-Watch ha denunciato il naufragio di un gommone, poi smentito da Frontex (l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), su cui però rimangono dubbi. Mentre un gruppo di parlamentari ha scritto un appello indirizzato al premier Giuseppe Conte, chiedendo l'intervento delle forze navali italiane.

BERLINO. La prima telefonata l’ha ricevuta nell’ottobre del 2014, alle cinque del mattino. "Avevo dormito pochissimo e un uomo urlava spaventato. Era su una barca partita dal Marocco, diretta in Spagna. Per fortuna è andato tutto bene, ma per la prima volta ho sentito di essere responsabile della sopravvivenza di molte persone e ho avuto paura". Maurice Stierl, 34 anni, è uno dei fondatori di Alarm phone: una linea telefonica di emergenza nata per supportare i migranti che attraversano il Mediterraneo con l’obiettivo di raggiungere l’Unione europea. Chiamano in preda al panico e chiedono aiuto. A rispondere sono volontari di ogni età che cercano di tranquillizzarli, ne individuano la posizione e allertano le autorità, nonché le navi delle organizzazioni non governative nelle vicinanze.

Un compito non facile, a cui si sommano il rischio di essere perseguiti per favoreggiamento di immigrazione clandestina e le accuse di collaborare con i trafficanti. "Accuse ridicole visto che tra i trafficanti e le autorità europee esiste una collaborazione ufficiale", ribatte Stierl. Il piglio deciso cozza con la timidezza che lo porta più volte a precisare di essere solo uno dei tanti. "Al momento della sua fondazione Alarm phone contava nel proprio team 50 persone – dice –. Oggi siamo più di 200. Nessuno viene pagato e non abbiamo una sede. Ognuno svolge la propria attività da casa". Quella di Stierl si trova a Berlino, dove si è appena trasferito per continuare a fare il ricercatore nel campo delle politiche migratorie. Sul campanello dell’appartamento, condiviso con una giovane mamma single e un altro ragazzo, c’è ancora il cognome del vecchio inquilino, un italiano. In una stanza grande lo spazio di un letto, si salvano vite. "In cinque anni l’organizzazione è stata contattata da oltre tremila imbarcazioni in difficoltà, anche se non sempre è andata bene: nel 2015 abbiamo assistito impotenti al naufragio di una barca con a bordo circa 400 migranti. Un’esperienza terribile".

Com’è nato il progetto?
Abbiamo mosso i primi passi sette anni fa, dopo la Primavera araba e la conseguente riapertura dei corridoi migratori via mare. La necessità di un intervento è stata resa ancora più evidente da due grandi naufragi che si sono verificati nel 2013, a poca distanza l’uno dall’altro. Il tre ottobre una barca proveniente dalla Libia è affondata di fronte a Lampedusa, causando oltre 360 morti. L’undici è stato il turno di un’imbarcazione a 120 chilometri da Lampedusa, all’interno di acque territoriali maltesi, sui cui si trovavano 200 siriani. Un dottore, presente a bordo con la propria famiglia, chiamò le autorità per chiedere aiuto, ma dall’Italia risposero che l’intervento spettava a Malta e da Malta che l’intervento spettava all’Italia. Quando finalmente i soccorsi raggiunsero la barca, era affondata. Per noi è stato un caso significativo in quanto ha dimostrato che anche se le autorità sono a conoscenza di un’imbarcazione in pericolo, non la soccorrono immediatamente, ma cercano di scaricare la responsabilità su qualcun altro. Così è nata l’idea di una linea telefonica d’emergenza, che i migranti possono chiamare direttamente in qualsiasi momento. Siamo partiti nel 2014.

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Come funziona?
Il numero si è diffuso tra i migranti con il passaparola. Le chiamate in arrivo vengono dirottate al telefono di chi è di turno. Al momento possiamo contare su una rete di 200 persone, in Europa e Africa, organizzate in turni da otto ore ciascuno: sette giorni su sette, ventiquattr’ore al giorno. Molte richieste di soccorso arrivano all’alba o durante la notte. Ecco perché siamo costantemente stanchi e oberati. Ognuno di noi ha un lavoro e fa tutto ciò per puro volontariato.

"Anche se i guardacoste europei sono a conoscenza di un’imbarcazione in pericolo, non la soccorrono immediatamente. Un modus operandi folle: ogni minuto è fondamentale"

Qual è l’area del Mediterraneo più problematica?
Attraversarlo è rischioso ovunque. Lo scorso gennaio ci hanno contattato 37 barche provenienti dalla Libia. Mentre tra il primo e il tre marzo abbiamo ricevuto la telefonata di 14 imbarcazioni nel mar Egeo, partite dalla Turchia. Solo tre di loro sono riuscite a raggiungere le coste della Grecia e in molti dei casi trattati abbiamo rilevato gravi violazioni dei diritti umani.

Come gestite le telefonate e qual è di solito la situazione a bordo?
La prima cosa da fare è capire dove si trova la barca, poi il numero di persone a bordo, e le condizioni sia dell’imbarcazione sia dei migranti. Gli scenari possibili sono infiniti e abbiamo predisposto delle linee guida per ogni evenienza che vengono periodicamente aggiornate. Ad esempio, negli ultimi anni abbiamo assistito a un cambiamento nel Mediterraneo centrale: se prima arrivavano grandi imbarcazioni di legno con a bordo oltre cinquecento persone, adesso sono per lo più gommoni sovraffollati. Nella maggior parte dei casi, al telefono parlano gli uomini, anche se non sono mancate le donne: quasi sempre abbiamo a che fare con persone nel panico, a cui è fondamentale fornire assistenza psicologica. Se arrivano dalla Libia, hanno navigato per giorni e sono stremate, soffrono il mal di mare. Un problema frequente sono le ustioni: a bordo delle piccole imbarcazioni vengono trasportate taniche di benzina e quando si rovesciano, mescolandosi con l’acqua salata, provocano gravi ustioni da contatto.

La difficoltà maggiore?
Mantenere la comunicazione. Li seguiamo durante il viaggio, ma la linea è spesso interrotta: a volte perdono il cellulare in acqua, a volte gli si scarica la batteria. A ciò si aggiunge la scarsa collaborazione da parte delle autorità che spesso ritardano i soccorsi, cercando di declinare ad altri la responsabilità. Un modus operandi completamente folle: le imbarcazioni sono in condizioni precarie e rischiano di capovolgersi da un momento all’altro: ogni minuto è fondamentale.

"I rapporti con le autorità italiane si sono rotti definitivamente con l'avvento di Salvini. Nella maggior parte dei casi replicano che intervenire non è di loro competenza e di rivolgerci ai libici, ma la Libia è un paese in guerra"

Com’è il vostro rapporto con loro?
È nettamente peggiorato negli ultimi anni. Quando riceviamo una telefonata, siamo obbligati ad allertarle. Ma se prima lavoravamo a stretto contatto, adesso è difficilissimo convincerle a uscire in mare e cercare attivamente una barca in pericolo. Per quel che riguarda l’Italia, la rottura definitiva si è verificata nel 2018, quando Matteo Salvini è stato nominato ministro dell’Interno. Da allora il rapporto non si è più ricucito: nella maggior parte dei casi le autorità italiane replicano che intervenire non è di loro competenza, dirottandoci verso la guardia costiera libica. Il che ci pone davanti a un dilemma etico visto che la Libia è un Paese in guerra e non la consideriamo un porto sicuroIn casi estremamente gravi, se per esempio la barca si è rovesciata o sta imbarcando acqua, non possiamo farne a meno. Quasi sempre, però, non risponde nessuno. O, se rispondono, non parlano inglese.

Nel frattempo, le morti in mare continuano (a marzo un bambino siriano è annegato nel tentativo di raggiungere Lesbo). Quali politiche sta adottando l’Unione europea?
Non c’è stata alcuna risposta comunitaria alle stragi in mare e Mare nostrum (la missione di salvataggio per i migranti nel canale di Sicilia, condotta dalla marina e dall’aeronautica militare italiana e terminata nel 2014, ndr) non è stata adeguatamente rimpiazzata. L’operazione europea Eunavfor Med, poi ribattezzata Sophia, che è nata nel 2015 e si è appena conclusa, ha avuto come obiettivo la lotta ai trafficanti, ma non il salvataggio dei migranti. Si è deciso di costruire nuovi muri, limitare ulteriormente i movimenti, restringere la concessione dei visti e criminalizzare le organizzazioni non governative che lavorano nel Mediterraneo. Inoltre, da qualche anno si punta alla cosiddetta esternalizzazione delle frontiere, ovvero a fermare i migranti prima ancora che arrivino alle porte dell’Unione. La strategia è fornire ai Paesi di transito, come il Niger, soldi ed equipaggiamento per rafforzare i loro confini. È, per esempio, quanto è stato fatto con la Turchia nel 2016, quando l’Unione europea si è impegnata a versare nelle casse del Paese 6 miliardi di euro entro il 2019 per gestire i migranti presenti sul suo territorio e sorvegliare la frontiera con la Grecia. Risposte che, in base alla nostra esperienza, stannoandando nella direzione sbagliata: non fermano le migrazioni ma costringono le persone a spostarsi su altre rotte, più costose e insicure.

"Il rafforzamento dei confini non ferma le migrazioni, ma costringe le persone a spostarsi su altre rotte, più costose e insicure"

Viaggio nell'Europa dei muri che teme i migranti

C’è chi accusa le organizzazioni non governative che operano nel Mediterraneo di essere in combutta con i trafficanti. Lei cosa risponde?
Divertente essere noi quelli accusati di collaborare con i trafficanti, quando a farlo è l’Unione Europea. Una collaborazione ufficiale a livello statale. Non è un segreto che le autorità dell’Unione cooperino e finanzino la guardia costiera libica, ripetutamente accusata di violare i diritti umani, nonché coinvolta nel traffico di persone, tanto che alcuni suoi esponenti sono al tempo stesso ufficiali e trafficanti: detengono i migranti nei campi di prigionia, li rilasciano sotto il pagamento di un riscatto e li fanno partire, per poi andarli a riprendere con le navi della guardia costiera. Viceversa, il nostro obiettivo è supportare chi fugge dagli abusi e dalla rete dei trafficanti, verso cui non abbiamo alcuna simpatia. Ma crediamo che il problema sia una conseguenza della politica adottata dall’Europa riguardo alle proprie frontiere: quando le persone non hanno a disposizione canali legali per attraversare il Mediterraneo, non possono far altro che rivolgersi agli scafisti. Non ci consideriamo una soluzione, ma una toppa momentanea diretta a colmare un vuoto.

Proviamo a sfatare un falso mito: com’è possibile che il telefono dei migranti abbia ricezione in mezzo al mare?
Se la barca parte dalla Turchia ed è diretta in Grecia, fatta eccezione per poche zone, il segnale c’è sempre. Lo stesso vale per quelle che dal Marocco vanno in Spagna. La situazione è diversa se l’imbarcazione ha lasciato i porti della Libia o della Tunisia. Ma i trafficanti, che non rimangono più a bordo delle imbarcazioni come in passato, lasciano ai migranti il telefono satellitare: un telefono che non si appoggia alla rete terrestre, come gli smartphone, ma ai satelliti. Lo fanno perché altrimenti le chance di sopravvivenza sarebbero minime.

"Divertente essere noi quelli accusati di collaborare con i trafficanti, quando esiste una collaborazione ufficiale tra l'Unione europea e la guardia costiera libica, coinvolta nel traffico di persone"

Siete riusciti a rimanere in contatto con qualche migrante che vi ha chiamato?
Raramente, ma è capitato. L’anno scorso ho incontrato una donna siriana salvata in mare. Si sta ricostruendo una vita in Germania. È stato strano vederla: strano, ma bellissimo.

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