Il ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara durante la manifestazione Fenix per la festa di Gioventu' Nazionale al Laghetto dell'Eur, Roma, 30 giugno 2023. Ansa/A.Carconi
Il ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara durante la manifestazione Fenix per la festa di Gioventu' Nazionale al Laghetto dell'Eur, Roma, 30 giugno 2023. Ansa/A.Carconi

Scuola made in Italy: la ricetta delle due "elle" del ministro Valditara

Tecnologie e pugno duro non salveranno la scuola. La crisi dell'istituzione e le violenze in classe riflettono una frattura più grande, che riguarda l'intera società e la paura del futuro

Elena Ciccarello

Elena CiccarelloDirettrice responsabile lavialibera

30 giugno 2023

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Giuseppe Valditara, ministro leghista dell’Istruzione e del Merito nel governo Meloni, lo ha detto senza giri di parole. Sulla scuola lui crede nella regola delle due “elle”: libertà e lavoro. "La scuola deve educare a diventare cittadini maturi e consapevoli, capaci di scegliere, senza essere alla mercé di persone, istituzioni, gruppi, ideologie – ha dichiarato in più occasioni –. E deve insegnare la bellezza del lavoro". Fuori di metafora, l’istruzione deve offrire alle nuove generazioni gli strumenti per sentirsi autonomi e competitivi sul mercato: "Se la scuola non dà una prospettiva professionale non assolve al suo compito", sono le parole del ministro. Va riconosciuto al giurista Valditara che egli sta solo ripetendo, in modo forse più forte e chiaro, ciò che le riforme scolastiche propongono ormai da quasi trent’anni. Con l’integrazione di quel riferimento al merito, declinato secondo una logica di selezione anziché di inclusione, che adesso campeggia persino nel nome del dicastero. E la pretesa di recuperare l’autorevolezza perduta degli insegnanti con la minaccia della punizione e del voto in condotta.

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L’idea di scuola proposta dal ministro è talmente diffusa e radicata, secondo alcuni sondaggi sostenuta anche dalla maggioranza di genitori e alunni, che per provare a scalfirla può essere utile tornare a un libro importante, che oggi compie vent’anni. "Sembra che la nostra società non possa più ‘concedersi il lusso’ di sperare", scrivevano nel 2003 gli psicanalisti Miguel Benasayag e Gérard Schmit, ne L’epoca delle passioni tristi. La loro tesi è che l’aumento di richieste di aiuto da parte di famiglie e ragazzi (ben prima di covid) sia il frutto della crisi della cultura occidentale. Le "tecnoscienze", cresciute a ritmi forsennati, si sono rivelate incapaci di sopprimere la sofferenza umana e questo ha precipitato la società in un abisso di incertezza. Il futuro oggi rappresenta una minaccia anziché una speranza. Questa "atmosfera esistenziale" ha investito le nuove generazioni provocando un "tracollo" del principio di autorità e il collasso dei vincoli di solidarietà: si salva chi può. Se gli adulti non offrono alcuna risposta, "in nome di cosa" dovrebbero ricevere ascolto o pretendere obbedienza? L’incapacità di genitori ed educatori di proteggere gli adolescenti dall’angoscia, secondo gli studiosi, ha aperto la strada all’autoritarismo e alla "seduzione di tipo commerciale": quando i giovani-clienti "rifiutano ciò che l’adulto-venditore propone loro", non rimane che "ricorrere alla coercizione e alla forza bruta".

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Come sottrarsi allora all’idea della vita come lotta contro tutti e alla prospettiva che apprendere l’utile a competere sia l’unica garanzia di sopravvivenza? Alcune indicazioni le abbiamo raccolte in questo numero de lavialibera dedicato alla scuola. Benasayag e Schmit vent’anni fa sostenevano che non la minaccia, ma il desiderio è la leva più forte dell’apprendimento, poiché sposta una parte della passione del bambino agli oggetti del mondo e dell’esistenza, e perciò crea legami e senso del limite. La "sola via d’uscita" è quella di "sviluppare la profonda e ontologica inutilità della vita, della creazione e dell’amore", dicevano. Altro che merito e disciplina.

Da lavialibera n° 21

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