L'ex sottosegretario di due governi Berlusconi ed ex assessore piemontese Roberto Rosso (Guido Montani/Ansa)
L'ex sottosegretario di due governi Berlusconi ed ex assessore piemontese Roberto Rosso (Guido Montani/Ansa)

'Ndrangheta in Piemonte, l'ex assessore Roberto Rosso condannato per voto di scambio politico-mafioso

Quattro anni e quattro mesi all'ex politico di Forza Italia e Fratelli d'Italia Roberto Rosso per aver promesso 15mila euro a due uomini legati alla 'ndrangheta in Piemonte: "Tornerò in carcere sapendo di essere innocente", ha detto ai giudici della Corte d'appello di Torino

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

20 luglio 2023

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Quattro anni e quattro mesi di carcere per voto di scambio politico-mafioso. Giovedì 20 luglio la Corte d’appello di Torino ha confermato la condanna a Roberto Rosso, ex assessore regionale del Piemonte alla Sicurezza per Fratelli d’Italia, partito in cui era entrato nel 2018, prima ancora deputato di Forza Italia e sottosegretario di due governi Berlusconi. Un politico di rilievo, fatto che rende questo caso uno dei più eclatanti, nel Nord Italia, di rapporti tra mafia e politica. I giudici hanno ridotto di otto mesi la pena stabilita dal Tribunale di Asti in primo grado il 10 giugno 2022. "Se ci devo tornare in carcere, ci tornerò sapendo di essere innocente", aveva detto la mattina ai giudici. Considerando la pena inflitta e i mesi passati in custodia cautelare, se la condanna dovesse essere confermata dalla Cassazione, Rosso non tornerà in cella.

Il verdetto è giunto al termine del processo nato dalle indagini Carminius, sulla presenza della ‘ndrangheta a Carmagnola (Torino), e Fenice. Proprio nel corso di questa inchiesta erano emersi i sospetti sull’allora assessore regionale, arrestato il 20 dicembre 2019. Secondo la Direzione distrettuale antimafia di Torino (pm Paolo Toso e Monica Abbatecola), Rosso aveva promesso 15mila euro (e poi dati effettivamente 7.900 euro) a due uomini legati alla ‘ndrangheta, Francesco Viterbo e Onofrio Garcea, per il loro aiuto nel corso della campagna elettorale in vista delle elezioni regionali del 2019.

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Le spontanee dichiarazioni di Roberto Rosso alla Corte d’appello

L'ex assessore continua a dichiararsi innocente: "Posso essere stato superficiale e imprudente, ma non ho mai raggiunto accordi con la 'ndrangheta né comprato voti da nessuno"

Alcune ore prima della sentenza di secondo grado, Roberto Rosso (difeso dall'avvocato Giorgio Piazzese) ha voluto fornire ai giudici la sua versione dei fatti in un ultimo tentativo di discolparsi. Ha riconosciuto sì di aver dato i soldi, ma ha tentato di ridimensionare: “Mi sono chiesto come sia potuto accadere che la ricerca democratica del consenso presso i singoli e presso i gruppi e le formazioni sociali abbia comportato per me l’incriminazione, l’arresto e la condanna in primo grado per voto di scambio politico-mafioso”. Ha spiegato che nei periodi di campagna elettorale come candidato ha incontrato “ogni giorno centinaia di persone tra mercati, banchetti, convegni... per un totale di 20mila persone nell’anno elettorale”. Per questo ha aggiunto: “Posso essere stato superficiale e imprudente nel turbinio della campagna elettorale, ma di una cosa sono certo. Non ho mai raggiunto accordi con la ‘ndrangheta né ho mai comprato voti da nessuno”.

Circa i due uomini della ‘ndrangheta, già condannati con sentenza definitiva per voto di scambio politico-mafioso perché hanno scelto il rito abbreviato, “non ho avuto elementi di sospetto, probabilmente sbagliando, ma non li ho avuti perché sono arrivati da me tramite la dottoressa Enza Colavito (imprenditrice, finita a processo anche lei, ndr) e suo marito il signor R.I., un ex carabiniere oggi in forza ai servizi segreti (non indagato, ndr)”.

Il consigliere comunale di Torino cugino del mafioso

“Il nome di Garcea non fu mai fatto non perché fosse un malavitoso – ha aggiunto Rosso – , ma perché è cugino e contemporaneamente il cognato di Domenico Garcea, mio diretto concorrente in quella stessa tornata elettorale, che conoscevo di persona per essere cresciuto con me in Forza Italia quando ne ero il capo regionale e al quale lo avrei subito ricollegato”. Domenico Garcea, poi diventato consigliere comunale a Torino, era stato candidato a ricoprire il ruolo di presidente della commissione legalità. L’indagine, però, ha appurato la consegna di 2.900 euro in contanti a Viterbo.

Ai giudici Rosso ha detto che li aveva con sé, prelevati “come facevo sempre, quasi tutte le settimane”, e li ha consegnati all’uomo che si lamentava dell’impegno e degli spostamenti per sostenere la sua campagna elettorale. “Viterbo invitava la gente a mangiare da Rosso e a votare per Garcea – ha affermato, con un velo polemico –. Oggi Domenico Garcea siede ai banchi del consiglio comunale di Torino, mentre io sono stato condannato a 5 anni di prigione”. Gli altri cinquemila euro, invece, li ha consegnati “in auto di persona” al marito di Enza Colavito “dicendo di farne ciò che voleva”.

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Molti soldi, pochi voti

Quei soldi consegnati per ripagare l’impegno di Viterbo e Garcea non avrebbero neanche reso in termini elettorali, ha voluto sottolineare: “Viterbo non mi ha fatto votare e non mi votato nemmeno lui, si è limitato a invitare le persone a due miei eventi senza mai usare l’intimidazione”. A San Gillio, comune di residenza della famiglia di Viterbo, sono stati soltanto due i voti a Rosso. A Carmagnola, zona di influenza del clan finito nel processo Carminius, 27. Poca roba il candidato più votato tra quelli della coalizione di centro-destra. “Non sono stato eletto coi voti di nessuno, se non quelli di cui potevo personalmente disporre. Sono stato eletto grazie alla mia costanza nella politica (…). Le mie fortune politiche non sono certo ricollegate all’apporto di voti di Garcea, di Viterbo e dei loro amici”.

Roberto Rosso paladino della legalità?

Rosso ha voluto anche dare l’impressione di avversare le illegalità nella politica. “Mi sono sempre schierato contro i potenti”, ha detto per poi elencare una serie di iniziative. “Durante Tangentopoli sedevo sul banco degli accusatori, non degli accusati. Nel 1993 diedi vita a una lista civica a Vercelli denominata Mani pulite che sconfisse il Partito socialista e la Democrazia cristiana e a seguito di questo risultato Berlusconi mi volle candidato l’anno successivo al parlamento italiano ed è così che nel 1994 divenni deputato”. Ha ricordato un altro episodio, a distanza di molti anni: “Nel 2012 denunciai in televisione quella che sarebbe passata alle cronache come la rimborsopoli piemontese. Quelle denunce mi costarono la radiazione dalle liste di Forza Italia”.

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Le motivazioni del Tribunale di Asti

Secondo i giudici di primo grado, Rosso, "ingordo di voti", "intendeva sfruttare il bacino elettorale della criminalità organizzata calabrese"

In primo grado, i giudici del Tribunale di Asti avevano motivato la condanna a cinque anni spiegando che Rosso, “ingordo di voti”, svolgeva una “sfrenata ricerca di consenso elettorale” che lo ha spinto ad “accettare scientemente la collaborazione di Viterbo e Garcea promettendo loro una cifra enorme perché intendeva sfruttare il bacino elettorale della criminalità organizzata calabrese, non semplicemente per procurarsi voti nei ceti popolari e dei meridionali; altrimenti non avrebbe promesso 15 mila euro a due sconosciuti”.

I giudici avevano anche ritenuto “da escludere, alla luce della dettagliata ricostruzione del fatto e anche delle menzogne e reticenze dell'imputato, che il patto con Garcea e Viterbo, nelle concrete modalità con cui è stato stipulato e taciuto, possa essere avvenuto per gli effetti distorsivi di un disturbo bipolare che avrebbe privato l'imputato di capacità di intelletto e discernimento: affermarlo sarebbe persino offensivo per la stessa figura di un politico della storia e della levatura dell'onorevole Roberto Rosso”.

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