Donne e mafia

Vittime, protagoniste, leve di cambiamento. Non esiste un solo ruolo per le donne di Cosa nostra, 'ndrangheta, camorra e delle mafie in generale. Anche se le organizzazioni criminali di tipo mafioso sono tradizionalmente maschiliste, sarebbe un errore pensare che le donne al loro interno abbiano in ogni caso un ruolo marginale o identico in ogni contesto. Un rapporto Osce del dicembre 2023 ha certificato su scala internazionale che troppo a lungo c'è stata la tendenza a sottovalutare la componente femminile delle organizzazioni criminali, per una forma di paternalismo giudiziario e per radicati stereotipi di genere. Di questo la letteratura scientifica e le esperte erano consapevoli da tempo: esistono numerosi studi, quasi esclusivamente di ricercatrici donne, che da almeno due decenni segnalano questo ritardo.

Paternalismo giudiziario

Fino agli anni Novanta, nelle aule di Tribunale era radicata la convinzione che il comportamento delle donne dei clan non configurasse reati di tipo mafioso. Le loro condotte venivano derubricate a favoreggiamento personale (che non è perseguibile se viene commesso da un familiare) e talvolta persino classificate come patologie psichiatriche. In altre parole i giudici tendevano ad essere più indulgenti, immaginando che le donne non potessero avere un ruolo di primo piano negli affari mafiosi. C'è stata un'evoluzione nel riconoscimento di questo ruolo: dal 1994 al 2004 il numero di condanne per 416 bis a carico di donne è passato da 0 a 14. Secondo un rapporto dell'associazione Antigone, nel 2022 erano sottoposte al regime carcerario del 41 bis 12 donne (su un totale di 740 detenuti in quel regime), mentre erano ristrette nell'alta sicurezza per reati mafiosi (As3) in 218. Il tutto su un totale di 2400 detenute

Donne vittime, partecipi e boss delle mafie

Ciò che accade dentro le mafie segue le trasformazioni della società, ragione per cui il ruolo delle donne è diverso a seconda del gruppo di appartenenza e può trasformarsi nel tempo. Cosa nostra e 'ndrangheta non prevedono la possibilità di ingresso delle donne all'interno dei sodalizi, perciò restano escluse dai rituali di affiliazione. Nei codici tradizionali di Cosa nostra, le donne sono ritenute pericolosamente inferiori perché "provano sentimenti". Ciò nonostante, poiché sia Cosa nostra sia la 'ndrangheta sono mafie in cui è forte la sovrapposizione tra famiglie di sangue e clan, è in questo contesto che le donne recuperano un ruolo di partecipazione sostanziale, a prescindere dalla loro esclusione formale dall'organizzazione. Alle donne è assegnato il compito di trasmettere le regole dell'organizzazione: sia cosa è considerato giusto fare per essere buoni mafiosi, sia perché (le motivazioni) per cui tale modo di fare è considerato giusto all'interno del gruppo. Spesso sono supplenti dei mariti, fratelli, padri che si trovano in carcere, nella gestione degli affari. A volte riescono anche a giocare ruoli di comando in alcuni commerci e traffici. 
Nella camorra, invece, il ruolo delle donne si presenta da sempre più paritario. Da fine Ottocento le figure femminili sono protagoniste dell'economia informale napoletana (es. usura, mercato della prostituzione, contrabbando di sigarette e più recentemente spaccio di droga), riuscendo ad avere anche posizioni di leadership, con uomini che eseguono i loro ordini. Le donne di camorra sono le più numerose al 41 bis. 
Tra le donne di mafia più famose, o meglio tra le donne boss. si possono citare almeno Teresa De Luca Bossa, che era riuscita a raggiungere una posizione apicale nella scena della criminalità organizzata napoletana e, arrestata nel 2000, è stata la prima donna sottoposta al regime del 41 bis, e Giusy Vitale, la prima donna a capo di un mandamento di Cosa nostra, poi collaboratrice di giustizia. 
Alcune vicende recenti sembrano dimostrare un maggiore coinvolgimento delle donne anche nei gruppi di 'ndrangheta, soprattutto in contesti non tradizionali. Nel processo Aemilia, su 200 imputati, ben 20 erano donne. Si è notato che quelle che godevano di maggiore libertà erano persone nate e cresciute in contesti non mafiosi e non appartenente, formalmente, a nessuna famiglia di 'ndrangheta

Collaboratrici di giustizia e ribelli

Le donne sono anche una forte leva di contrasto alle mafie. Molte sono diventate collaboratrici o testimoni di giustizia. Stando ai dati del ministero dell'Interno, al 31 dicembre 2018 il numero di collaboratrici di giustizia era di 60 (a fronte di 1129 uomini), con una prevalenza di donne che provenivano dalla camorra (17), seguite da quelle di Cosa nostra (11), mafia pugliese e altre forme di criminalità organizzata (rispettivamente 11), infine 'ndrangheta (10). Viceversa, al 31 dicembre 2021, su 56 testimoni di giustizia, ben 16 risultavano essere donne, in questo caso il numero più alto di loro aveva testimoniato contro la 'ndrangheta (6), poi Cosa nostra (3), camorra (3), altra criminalità (3) e infine mafia pugliese (1). 
Discorso diverso per la cosiddetta terza via e il progetto liberi di scegliere, che offre la possibilità di rifarsi una vita a minori e donne che decidono di allontanarsi dalla famiglia mafiosa ma non sono né testimoni né collaboratrici di giustizia Ad oggi, il progetto nato in Calabria, ha preso in carico 83 minori e giovani adulti e circa 30 nuclei familiari (la stragrande maggioranza madri).

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