Il pm Giuseppe Lombardo durante un'udienza del processo Gotha
Il pm Giuseppe Lombardo durante un'udienza del processo Gotha

Processo Gotha, così agiscono gli invisibili della 'ndrangheta

A due anni dalla lettura della sentenza di primo grado, il tribunale di Reggio Calabria svela i motivi delle condanne e delle assoluzioni. Per i magistrati esiste un sistema di potere deviato, attraverso cui la mafia calabrese riesce a sostituirsi alle istituzioni

Francesco Donnici

Francesco DonniciGiornalista

3 agosto 2023

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Paolo Romeo, avvocato ed ex parlamentare del Partito socialista democratico italiano (Psdi), era la mente pensante della ‘ndrangheta, il burattinaio capace di muovere i fili della criminalità e della politica, arrivando a pilotare appalti e influenzare tornate elettorali grazie ai suoi rapporti con la massoneria. Dopo due anni di scrittura, il tribunale di Reggio Calabria ha depositato le motivazioni del processo Gotha contro i vertici della ‘ndrangheta reggina, da cui emerge questo ritratto del principale imputato, condannato il 30 luglio 2021 a 25 anni di reclusione per associazione mafiosa. La pena più alta per colui che il collaboratore di giustizia Seby Vecchio, ex poliziotto e assessore comunale nella giunta Scopelliti, ha definito “il Dio della ‘ndrangheta e della politica”.

Oltre 250 anni di carcere

Dopo circa due anni dal 30 luglio 2021, giorno della lettura della sentenza di primo grado, il tribunale calabrese ha depositato le motivazioni del provvedimento con il quale il Collegio presieduto dalla giudice Silvia Capone ha disposto 15 condanne e 15 assoluzioni per gli imputati che avevano scelto di essere processati con rito ordinario.
La sentenza era arrivata dopo diverse ore di camera di consiglio, quando ormai i lampioni fuori dall’aula bunker della città calabrese dello Stretto illuminavano il viavai degli ultimi imputati rimasti ad ascoltare un verdetto che non aveva risparmiato sorprese. Oltre alle singole responsabilità di ciascun imputato, il processo – nato dalla riunione delle inchieste Mammasantissima, Reghion, Fata Morgana, Alchimia e Sistema Reggio – è chiamato a provare l’esistenza della cosiddetta “componente riservata della ‘ndrangheta”.

Oltre alle singole responsabilità di ciascun imputato, il processo è chiamato a provare l’esistenza della cosiddetta “componente riservata della ‘ndrangheta”

“Solo pochissimi potevano creare una componente apicale della ‘ndrangheta come estranea al contesto associativo. E quei pochissimi sono qui imputati”, aveva detto il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo in una delle tredici udienze dedicate alla requisitoria che lo avevano visto avvicendarsi coi diversi componenti del pool dell’accusa: Stefano Musolino, Walter Ignazitto, Sara Amerio, Giulia Pantano e Roberto Di Palma. Le richieste di condanna (per un totale di oltre 250 anni di carcere) invocate dal procuratore capo Giovanni Bombardieri il 25 maggio 2021, erano arrivate dopo circa tre anni dalla prima udienza, celebrata il 20 aprile 2017.

I protagonisti

I principali imputati della maxi-inchiesta sono l’avvocato Giorgio De Stefano, processato con rito abbreviato (dove la Cassazione ha annullato, in parte senza rinvio, la precedente condanna), e Paolo Romeo, anche lui secondo l’accusa componente dei cosiddetti “invisibili”, quei “soggetti cerniera” che popolano il “sopramondo” ‘ndranghetista. Per la procura Romeo è ”la mente pensante della ‘ndrangheta”, rappresentante di un “sistema di potere ambiguo”, per riprendere l’espressione utilizzata dal neo procuratore aggiunto Stefano Musolino, così evoluto da divenire istituzione.

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Una condanna a 13 anni è stata pronunciata per l’ex sottosegretario regionale Alberto Sarra, mentre il senatore Antonio Caridi, per il quale l’accusa aveva chiesto 20 anni, è stato assolto. Altri presunti componenti dell’area grigia che alimenta gli interessi delle cosche di Reggio Calabria sono indicati nel dirigente pubblico Marcello Cammera, condannato a 2 anni, e Carmelo Giuseppe Cartisano, condannato a 20 anni a fronte della richiesta dell’accusa di 16. Per il rettore del santuario di Polsi, don Pino Strangio, era invece arrivata una condanna a 9 anni e 4 mesi che, qualche settimana dopo, lo porterà a rassegnare le dimissioni dallo storico incarico. 

La lunga attesa

Per conoscere le motivazioni alla base della sentenza ci sono voluti circa due anni. Qualche mese dopo la lettura del dispositivo nel rito ordinario, la Cassazione aveva pronunciato una sentenza che in qualche modo sconvolgeva l’impianto accusatorio, determinando l’annullamento di ben nove condanne tra quelle disposte dalla Corte d’appello. In particolare, era stato dato risalto alla posizione di Giorgio de Stefano la cui condanna era stata annullata senza rinvio con riferimento a tutte le condotte contestate fino al 2005. La condanna di secondo grado a 15 anni 4 mesi era stata tacciata di “illogicità”.

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“Se la struttura invisibile – scrivono i giudici della Suprema Corte – deve essere composta da soggetti la cui appartenenza alla ‘ndrangheta e? sconosciuta a coloro che compongono la struttura visibile ed operativa del sodalizio criminale, onde evitare che i componenti della struttura invisibile possano essere indicati quali appartenenti al sodalizio criminale da eventuali collaboratori di giustizia, appare illogico sostenere che Giorgio De Stefano potesse contemporaneamente far parte sia della struttura invisibile, sia della struttura visibile ed operativa in qualità, peraltro, di capo della cosca De Stefano”.

In sostanza, l’imputato aveva già subito una condanna per concorso esterno ed era stato giudicato nel processo Caso Reggio per l’apporto fornito all’associazione fino al 2005. Per questo motivo sarebbe “illogico” riconoscerlo anche come uno degli “invisibili” e per tale condannarlo, soprattutto pronunciandosi i giudici su un periodo già coperto da una sentenza passata in giudicato. A marzo 2022 – per la decorrenza dei termini della custodia cautelare – De Stefano è stato scarcerato.

L’evoluzione della ‘ndrangheta

Il tribunale di Reggio Calabria nella prima sentenza di Gotha ha ripercorso decenni di storia della ‘ndrangheta raccontando l’espansione extraterritoriale – anche internazionale – dell’associazione e la progressiva contaminazione della “cosa pubblica” che sul territorio di Reggio Calabria, complici anche gli strascichi storici successivi ai moti del 1970, è parsa quantomeno più palese rispetto ad altrove. “L’aver consentito l’ingresso nella ‘ndrangheta di “laici” riservatissimi ha permesso ai capo-crimine di trasformarsi rimanendo se stessi”, aveva chiosato all’esito della requisitoria il pm Lombardo.

Il tribunale di Reggio Calabria ha ripercorso decenni di storia della ‘ndrangheta, raccontando l’espansione extraterritoriale – anche internazionale – dell’associazione e la progressiva contaminazione della “cosa pubblica” 

Alla base c’era un progetto ambizioso nato proprio negli anni Settanta, che aveva spinto i vertici noti dell’associazione ad affrontare un processo evolutivo che li avrebbe portati a “diventare, in poche parole, i rappresentanti di un sistema criminale così evoluto da essere diventato un’istituzione”. Aspetti che spiegherebbero, nelle parole del magistrato, “perché la ‘ndrangheta è conosciuta come l’organizzazione criminale più ricca e potente del mondo”, retta su un sistema “che opera ed ha operato in questa terra interrompendo funzioni sovrane dello Stato italiano”.

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I giudici reggini, prendendo le mosse dalla ricostruzione dell’accusa e da precedenti processi, ricordano come la struttura dell’organizzazione sia “dotata di un apparato criminale complesso che si caratterizza anche per una struttura segreta o riservata, che viene spesso denominata come ‘santa’, ‘mammasantissima’ o ‘cupola’, chiamata ad operare in ambiti particolarmente rilevanti dell’organizzazione”.

Le condanne

Come parte integrante di questa struttura, i giudici di primo grado riconoscono quindi Paolo Romeo che ha il “ruolo di promotore, dirigente ed organizzatore, ereditato alla morte di Paolo e Giorgio De Stefano”, assassinati rispettivamente nel 1985 e nel 1977. La sua posizione processuale è “del tutto sovrapponibile” a quella di Giorgio De Stefano vista la condanna per concorso esterno già scontata all’esito del processo Olimpia e l’assoluzione nel processo Caso Reggio. Per questo motivo, spiegano i giudici, sono “improcedibili” i fatti avvenuti entro l’anno 2005, mentre lo stesso non può dirsi per quanto avvenuto dopo, trattandosi di condotte “nuove e diverse” da quelle già giudicate per le quali “non ricorre l’identità del fatto”.

Vengono poi ripercorsi alcuni dei passaggi contenuti nell’indagine Mammasantissima (e prima ancora in Olimpia), che rimandano all’episodio della fuga del terrorista nero Franco Freda, al tempo imputato nel processo per la strage di Piazza Fontana. A distanza di 42 anni, proprio durante il dibattimento di Gotha, Romeo confesserà di aver coperto la latitanza di Freda “come gesto di solidarietà politica”.

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I giudici reggini ribadiscono quindi il “ruolo di primazia esercitato da Paolo Romeo”, che nei precedenti processi non gli era comunque valso una condanna per 416-bis. Il noto avvocato e politico è dipinto attraverso le dichiarazioni dei pentiti, e dal materiale probatorio a supporto, “quale soggetto appartenente alla massoneria, quale componente di promanazione della consorteria De Stefano, con il compito di infiltrare i contesti politico-istituzionali e di garantire ai De Stefano, ed alla ‘ndrangheta di Reggio Calabria secondo le logiche spartitorie convenute in occasione della pax mafiosa al cui raggiungimento pure il Romeo aveva dato un contributo rilevante, la percezione dei proventi estorsivi attraverso la garanzia agli imprenditori collusi di aggiudicazione degli appalti pubblici”.

Secondo i giudici, Paolo Romeo e Giorgio de Stefano, avrebbero creato delle coalizioni politiche per favorire l’ascesa di Giuseppe Scopelliti prima a sindaco di Reggio Calabria e quindi a presidente della Regione

A ciò i giudici aggiungono anche la sua operatività “nella massoneria segreta”, che gli avrebbe permesso di influenzare una serie di tornate elettorali svolte all’inizio degli anni duemila. Subentra a questo punto la narrazione intorno alla condanna di Alberto Sarra, indicato come uno dei “soggetti ‘ponte’ appartenenti agli apparati istituzionali”. Il suo cursus honorum inizia nel 1992 quando viene eletto presidente della seconda circoscrizione del Comune di Reggio Calabria per arrivare, nel 2010, a essere nominato sottosegretario regionale alle Riforme e alla semplificazione amministrativa dal governatore Scopelliti.

I giudici lo descrivono come appartenente al “contesto occulto”, già interessato da un nutrito numero di procedimenti penali istruiti anche attraverso intercettazioni che spesso lo vedono interloquire “alla pari con soggetti che sono risultati essere esponenti di vertice delle varie cosche di ‘ndrangheta”. Quegli stessi che gli avrebbero garantito anche il necessario appoggio politico in occasione delle diverse competizioni elettorali alle quali ha partecipato.

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“Sullo sfondo delle campagne elettorali, e della stessa candidatura di Sarra – si legge – è risultata costante la regia dell’avvocato Paolo Romeo accanto all’avvocato Giorgio de Stefano”, in grado di “formare delle vere e proprie coalizioni in senso politico che poi hanno favorito l’ascesa di Giuseppe Scopelliti (non indagato in Gotha, ndr) prima a sindaco di Reggio Calabria e quindi a presidente della Regione Calabria”. Nella ricostruzione attraverso cui i giudici qualificano le responsabilità di Sarra e Romeo, Scopelliti viene descritto all’un tempo come “ostaggio e però beneficiario” di quel sistema che “assicurerà alla ‘ndrangheta di vertice di infiltrarsi nelle società partecipate del Comune di Reggio Calabria”. Sarra, nella fattispecie, viene descritto come “il ‘mulo’ che avrebbe dovuto tirare la volata per la raccolta dei voti”, oltre che lo “strumento con cui avviare il successivo condizionamento dell’amministrazione facente capo a Scopelliti”, sul cui asservimento al sistema Romeo avrebbe nutrito dei dubbi.

Le assoluzioni

Viceversa, l’attesa delle motivazioni era focalizzata anche sull’analisi della posizione dell’ex senatore eletto nella coalizione del Popolo delle Libertà, Antonio Stefano Caridi, assolto dal tribunale reggino nonostante le pesanti richieste avanzate dall’accusa. Durante la requisitoria, la pm Giulia Pantano aveva discusso la sua posizione nell’ambito della trattazione del filone legato all’inchiesta Alchemia, focalizzata sugli affari del clan Raso-Gullace-Albanese tra la Calabria e la Capitale.

Nel racconto del magistrato, appresa la notizia della candidatura di Caridi “la cosca scese in campo per sostenerlo” e “talmente forte era la potenza di questa cosca da costringere il segretario di un partito che non avrebbe potuto appoggiare Caridi, a rivedere la sua posizione a fronte di accordi presi in precedenza”. Vito Schifani arriverà a proporne l’inserimento nella Commissione parlamentare antimafia, “ma ci fu – scrivono i giudici – una campagna stampa che precluse tale incarico, in quanto erano state pubblicate notizie su una serie di collegamenti che Caridi avrebbe avuto con alcune articolazioni territoriali della ‘ndrangheta” reggina.

L’ex senatore del Pdl Antonio Stefano Caridi è stato assolto, nonostante per il tribunale di Reggio Calabria “non disdegnava di coltivare rapporti e frequentazioni con soggetti delle più importanti consorterie criminali per chiare finalità elettorali”

Nell’assolverlo per mancanza di elementi che possano portare ad affermare la sua partecipazione alla struttura riservata della ‘ndrangheta, il tribunale di Reggio Calabria non ha disdegnato di sottolinearne una spregiudicatezza tale “che in occasione delle competizioni elettorali non disdegnava di coltivare rapporti e frequentazioni con soggetti delle più importanti consorterie criminali per chiare finalità elettorali”. Aspetti che gli sarebbero valsi “il sostegno elettorale dei De Stefano” alle elezioni del 2002, secondo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, nel suo caso rimaste prive di riscontri.
Si attendono ora i ricorsi in Appello da parte dell’accusa e delle difese per scrivere un nuovo capitolo di questa importante vicenda giudiziaria.

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