Alluvione in India. Nuova Delhi sott'acqua, gli sfollati: "Nessuna allerta dal governo. Abbiamo perso tutto"

Riscaldamento globale e cattiva gestione del territorio hanno lasciato senza tetto migliaia di contadini che abitano le baraccopoli della capitale dell'India, inondata dai monsoni. Sopravvivono abbandonati dalla politica, e lontani dai riflettori, mentre il governo ripulisce la città per il G20

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

18 luglio 2023

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NUOVA DELHI – Ogni anno i contadini di Nuova Delhi che abitano le rive dello Yamuna aspettano la piena per ricominciare da capo. Succede da sempre: con la stagione dei monsoni, il fiume invade le baraccopoli di fango, lamiere e mattoni che punteggiano la zona est della capitale indiana, costringendoli a una fuga temporanea. Ma stavolta è diverso. Le acque del secondo affluente del Gange, care alla religione indù perché liberano dai tormenti della morte, si sono prese tutto il poco che avevano. E nessuno li ha avvertiti del pericolo, denunciano.

Cinque in una stanza e 60 euro al mese: la vita nelle baraccopoli della capitale dell'India

“Non abbiamo ricevuto alcuna allerta. La nostra casa è stata sommersa. I vestiti che abbiamo addosso sono l’unica cosa che ci è rimasta. Non ci cambiamo da sei giorni” Sauresh Mourya - sfollata

“Non abbiamo ricevuto alcuna allerta. La nostra casa è stata sommersa. I vestiti che abbiamo addosso sono l’unica cosa che ci è rimasta. Non ci cambiamo da sei giorni”, racconta a lavialibera Sauresh Mourya, 30 anni. A coprirle il volto, un paio di enormi occhiali da sole che servono a proteggere gli occhi, appena operati. Una vita al di sotto della soglia di povertà, la sua: due figli, un reddito che non supera i 60 euro al mese, e una stanza di pochi metri quadri per cinque persone. L’inondazione ha spazzato via anche quella. Non è una storia isolata. Lo stesso destino accomuna le centinaia di uomini, donne e bambini che dal 10 luglio affollano i bordi della strada che porta all’Old Yamuna bridge, uno dei ponti più antichi e lunghi del Paese. Per lo più famiglie di agricoltori che da decenni sono il cuore degli insediamenti informali della città, periodicamente sgomberati dai governi di ogni colore. Le baracche vengono demolite per poi risorgere altrove, poco lontano.

Piogge sempre più violente. La rubrica di Antonello Pasini, climatico del Cnr

Domenica il governatore di Delhi, Arvind Kejriwal, ha annunciato su Twitter un contributo economico per ogni famiglia colpita dall’alluvione: diecimila rupie, l’equivalente di circa 100 euro, una miseria. Intanto “qui i politici li abbiamo visti solo sui manifesti elettorali”, attacca Dallo Devi, una coltivatrice di fiori. Ne hanno appesi a decine nelle tende dove gli operatori umanitari distribuiscono i pasti: poltiglie di riso e verdure. “È l’unica cosa che sta fornendo il governo. Anche le incerate le abbiamo comprate noi”. I bagni mancano e la doccia è una piccola autobotte che nel vapore del primo pomeriggio, con quasi 40 gradi percepiti, attira una folla di bimbi. Sul guardrail, una fila di teli da bagno bianchi lasciati ad asciugare.

Nel 2022 l’India è stata interessata da eventi meteorologici estremi per 314 giorni su 365. Le piogge sono più brevi, ma intense

Baburam, 60 anni, di cui gli ultimi 20 passati a coltivare la terra, dice che l’alluvione è una costante: il fiume esonda e lo Stato non prende provvedimenti. Lo Yamuna così pieno, però, ricorda di non averlo mai visto. Neanche nel 2013, quando le inondazioni devastarono l’India del nord, causando migliaia di morti. “Stavolta l’acqua è arrivata persino al ponte”, precisa. I dati confermano: giovedì scorso il livello del fiume che percorre Delhi ha raggiunto i 208.66 metri, superando il record toccato nel 1978 di 207.49 metri. Molte zone della capitale sono finite sott’acqua, spingendo le autorità a chiudere le scuole e gli uffici pubblici per qualche giorno. Il quotidiano The Hindu scrive che sono 21mila le persone rimaste senza un tetto.

Dietro l'inondazione Delhi, cattiva gestione del territorio e riscaldamento globale

Le cause vanno cercate “in due fattori”, spiega a lavialibera Depinder Kapur, direttore di un programma dedicato all’acqua del Centre for science and environment (Cse): organizzazione no-profit con base a Nuova Delhi che fa ricerca sui temi ambientali, fondata dall’attivista Sunita Narain. “Negli ultimi anni il letto dello Yamuna si è innalzato per via dell’insabbiamento legato alle acque reflue metropolitane, non trattate in modo adeguato. Inoltre, il suo flusso è stato costretto in un imbuto a causa del cantiere della metropolitana, del villaggio dei giochi del Commonwealth, e del grande tempio indù di Akshardham. È necessario uno studio scientifico per valutare l’impatto che le recenti costruzioni e le acque reflue hanno sul fiume, ammodernare le chiuse, e prevedere un meccanismo di monitoraggio delle piene. Ma il governo gioca a scaricabarile”.

La nostra intervista all'attivista indiana Sunita Narain: "L'ambientalismo non può essere un lusso"

"È necessario uno studio scientifico per valutare l’impatto che le acque reflue e le recenti costruzioni hanno sul fiume, ammodernare le chiuse, e prevedere un meccanismo di monitoraggio delle piene. Ma il governo gioca a scaricabarile" Depinder Kapurd - Centre for science and environment

Una situazione esacerbata dal cambiamento climatico che, prosegue Kapur, sta determinando “piogge più brevi ma intense, seguite da periodi di siccità”. Il centro di ricerca ha stimato che nel 2022 l’India è stata interessata da eventi meteorologici estremi per 314 giorni su 365. E, stando ai dati ufficiali, nella prima settimana di luglio del 2023 nel Paese si sono registrate precipitazioni del due per cento superiori alla media. Nella regione settentrionale il bilancio dei morti ha superato quota 66. Nelle ultime ore le condizioni meteo sono migliorate e il livello di allerta è sceso, ma è sul bordo dello Yamuna che si gioca il destino degli ultimi in un mondo sempre più caldo.

Come sempre, gli sfollati saranno costretti a dormire all’aperto, privi di servizi igienici e abiti di ricambio, per settimane. Dopo ricostruiranno le loro case dal niente, senza l’aiuto di nessuno, e lontano dalle zone centrali di Delhi, dove da qualche mese è in corso un’operazione di profondo maquillage in vista del G20, il diciottesimo vertice dei leader del pianeta che si terrà qui il prossimo settembre. Sarà la prima volta nell’Asia meridionale. La città è già piena di insegne che pubblicizzano l’evento. Lo slogan oggi sembra quasi una beffa: “Una terra, una famiglia, un futuro”.

Ha collaborato Varsha Torgalkar

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