1995, un banchetto per la raccolta firme a sostegno del riuso sociale
1995, un banchetto per la raccolta firme a sostegno del riuso sociale

I beni tolti alle mafie sono beni delle comunità, ma le ultime scelte del governo destano dubbi

A 28 anni dalla legge sul riutilizzo sociale dei beni sottratti ai mafiosi, immobili e aziende sono diventati beni comuni al servizio delle comunità. Tuttavia il governo sembra non averne colto il valore: dopo il taglio dei fondi previsti col Pnrr, ha adottato soluzioni che sollevano perplessità

Tatiana Giannone

Tatiana GiannoneSettore beni confiscati e Università di Libera

15 marzo 2024

  • Condividi

“Un milione di firme per l'utilizzo sociale dei beni confiscati ai mafiosi”. “Raccogliere entro l'estate un milione di firme: è l’obiettivo della prima campagna nazionale promossa dall'associazione Libera per chiedere l'utilizzo a scopi sociali dei beni confiscati ai mafiosi”. Così iniziava l’articolo firmato da Luigi Ciotti e pubblicato nello stesso giorno, il 30 giugno 1995, su 27 quotidiani. Obiettivo: giungere alla restituzione ai cittadini delle ricchezze illecitamente accumulate dalle mafie. 

Il percorso iniziato lo scorso anno, nel gennaio 2023, ci ha portato alla presentazione di un documento politico, Raccontiamo il bene. Per un rinnovato impegno sui beni confiscati alle mafie (leggi sul sito di Libera), con oltre cento adesioni da parte della rete associativa che sostiene Libera e di tutto il movimento antimafia. Un documento che adesso sta viaggiando nei territori e nelle comunità, per raccogliere nuovi spunti e portare momenti di riflessione. Abbiamo messo al primo posto gli impegni che possiamo portare avanti, perché sentiamo la responsabilità forte di essere protagonistə della rinascita dei nostri territori. Raccontare quello che tutti i giorni viene realizzato, mettersi a fianco delle agenzie educative e del partenariato economico e sociale, continuare a dialogare con gli enti locali di prossimità: questo ci consentirà di portare le nostre richieste al mondo della politica, con l’obiettivo di rafforzare questo percorso e di superare le criticità che si incontrano.

Oggi, dopo 28 anni dall’approvazione della legge 109, con 1065 soggetti della società civile organizzata che gestiscono beni confiscati, possiamo scrivere con convinzione che il primo obiettivo è stato raggiunto: i beni confiscati, da espressione del potere mafioso, si sono trasformati in beni comuni, strumenti al servizio delle nostre comunità. Più di 500 associazioni di diversa tipologia, oltre 30 scuole di ogni ordine e grado che usano gli spazi confiscati come strumento didattico, cinque cooperative di lavoro che aprono la riflessione sul riuso delle aziende confiscate. 1065 esperienze che, tutti i giorni, incidono nel tessuto territoriale e costruiscono economia positiva. Un’economia che tuttə noi possiamo toccare con mano e che cambia radicalmente le nostre vite. Poter firmare un contratto di lavoro vero, poter usufruire di servizi di welfare laddove lo Stato sembra non arrivare, poter costruire il proprio futuro nel mondo del lavoro: tutto parla di un Paese che ha reagito alla presenza mafiosa e che con orgoglio si è riappropriato dei suoi spazi. 

Il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, una storia

Le attività nei beni confiscati alle mafie

Secondo i dati raccolti in questo percorso, possiamo dire che:

  • il 56,8 per cento delle attività svolte nei beni confiscati riguardano attività di welfare e politiche sociali;
  • il 25,6 per cento promozione culturale e turismo sostenibile;
  • solo il 10% attività legate all'agricoltura e all’ambiente.

La regione con il maggior numero di realtà sociali che gestiscono beni confiscati è la Sicilia con 285 soggetti gestori, segue la Campania 170, la Lombardia con 151 e la Calabria con 149. A ventotto anni dalla legge 109/96 avanza così una comunità alternativa a quelle mafiosa, che lavora e si impegna a realizzare un nuovo modello di sviluppo territoriale.

Secondo i dati dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, al 22 febbraio 2024 sono 22.548 i beni immobili (particelle catastali, per la precisione) destinati ai sensi del Codice antimafia (+14% rispetto al 2023); mentre sono 19.871 gli immobili ancora in gestione ed in attesa di destinazione. Sono invece 3.126 le aziende destinate (+77% rispetto al 2023) mentre sono 1.764 quelle ancora in gestione.

Sicilia, Calabria e Campania sono ancora una volta le regioni con il maggior tasso di interesse. Nel Nord Italia spicca la Lombardia con 1590 beni immobili (particelle catastali) destinati e 1552 immobili ancora in gestione ed in attesa di essere destinati. Cambia di poco la geografia regionale sul fronte delle aziende. In Sicilia sono 551 le aziende destinate mentre sono 913 quelle ancora in gestione.

Beni confiscati alle mafie: aumentano i comuni non trasparenti

Sostenere il riutilizzo dei beni confiscati: una priorità del governo?

Tuttavia, nonostante il quadro positivo che riusciamo a descrivere, si raccolgono segnali preoccupanti del mondo della politica: un attacco costante alle misure di prevenzione, tentativi di privatizzare i beni confiscati e piegarli alla logica dell’economia capitalista, una gestione delle risorse dedicate ad oggi piuttosto confusionaria. Non possiamo accettare che ci siano passi indietro su questo. Le misure di prevenzione si sono dimostrate uno dei più importanti strumenti nella lotta alle mafie e alla corruzione, perché da subito hanno agito sul controllo economico e sociale con il quale i clan soffocano i territori. È forse una delle conseguenze di quella tendenza alla “normalizzazione”, più volte denunciata da tutta Libera, che ha buttato fuori il tema della lotta alle mafie dall’agenda politica, riducendo mafie e corruzione a uno dei problemi marginali del Paese.

Il taglio dei fondi previsti nel Pnrr e altre perplessità

"Il decreto legge 19/2024, sebbene indichi la misura sui beni confiscati come completamente rifinanziata, ha alcune criticità che riteniamo di dover evidenziare"

La decisione del governo di cancellare con un tratto di penna i 300 milioni di euro previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per la rifunzionalizzazione e la valorizzazione dei beni confiscati è l’ennesima evidente dimostrazione di tutto questo. Per ricostruire le vicissitudini di questo avviso pubblico si deve risalire al dicembre 2022, con l’approvazione di una graduatoria e relativi finanziamenti. L’iter è proseguito con ulteriori adempimenti tecnici dell’Agenzia, fino all’approvazione del decreto del 19 dicembre 2022, che ha approvato le graduatorie e i finanziamenti, poi integralmente sostituito da un successivo decreto del 21 marzo 2023. ll 27 luglio 2023 il ministro Raffaele Fitto ha presentato la proposta di revisione del Pnrr, per un totale di 15,89 miliardi di euro. Una serie di misure è stata definanziata completamente, tra cui quella relativa alla “Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie”.

Il decreto legge 19/2024, sebbene indichi la misura sui beni confiscati come completamente rifinanziata, ha alcune criticità che riteniamo di dover evidenziare. Dal testo del decreto, infatti, si evince che i 300 milioni di euro saranno erogati in sei anni – al contrario dei tre inizialmente previsti – divisi in: 60 milioni (per ogni anno, dal 2024 al 2027), 40 milioni (2028), 20 milioni (2029). La maggior parte delle risorse dovrebbero essere individuate all’interno del Fondo degli Investimenti Complementari del Pnrr e attraverso una rimodulazione del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (programmazione 2021-2027).

Un altro importo pari a un miliardo e 300 milioni è stato recuperato tagliando in maniera orizzontale le risorse a disposizione di ogni ministero per il periodo 2026-2028, mentre altri tagli consistenti riguardano 900 milioni derivanti dal fondo per l’avvio di opere indifferibili, i cui fondi già assegnati però restano a disposizione anche per quei progetti che non rientrano più nel Pnrr. Infine, 800 milioni arrivano dalla disponibilità del ministero dell’economia, in particolare dalla voce “Politiche economico-finanziarie e di bilancio e tutela della finanza pubblica”.

La prima perplessità si lega al fatto che parte di queste risorse saranno tagliate da fondi già attivi e che avrebbero già sostenuto gli enti locali; allo stesso modo, incidere sul Fondo di Sviluppo e Coesione vuol dire incidere su un Fondo che da sempre ha sostenuto progetti di valorizzazione dei beni confiscati, tagliando così risorse che si sarebbero potute aggiungere ai 300 milioni di euro del Pnrr. Seppure quella sui beni appaia come l’unica misura interamente rifinanziata con altri fondi, questo dato ancora non ci consente di definire quali progetti saranno confermati e quali ancora no. Per questo sarà importante garantire la completa trasparenza e rendicontabilità rispetto ai progetti, in modo da avere il quadro completo rispetto alla tipologia di fondi da cui si attingerà e alla quantità di progetti portati a termine.

La seconda perplessità si lega all’allungamento del tempo di realizzazione degli interventi: dal punto di vista pratico, i piccoli comuni dovranno gestire progetti per un tempo più lungo del previsto, aggravando il carico di uffici tecnici già ridotti all’osso. Proposte progettuali scritte nel 2022 dovranno allungarsi fino al 2029, incorrendo così in maggiori oneri e cambi rispetto al contesto politico e territoriale di riferimento. Gli stessi comuni che, ad oggi, non hanno ricevuto alcuna indicazione da parte del ministero rispetto a un possibile stop oppure ritardo nell’erogazione delle risorse. Gli enti locali hanno già avviato le pratiche di appalto e di aggiudicazione dei lavori, avvicinandosi così al momento in cui dovranno coprire i costi vivi.

Nel decreto legge si prevede anche la realizzazione di una struttura di supporto attraverso la nomina di un commissario straordinario. La struttura sarà composta da 12 unità, di cui tre dirigenti e nove funzionari (con la possibilità di aggiungere cinque esperti); il totale annuo per la retribuzione della struttura intera è di circa 1.649.157,06 euro (al netto dei costi di gestione). Il commissario potrà avvalersi anche di ulteriori strutture amministrative, tra cui Anbsc e Agenzia del Demanio e ulteriori amministrazioni locali. Si tratta di una struttura che dovrebbe controllare le singole misure (254 misure approvate per 166 comuni) e che avrebbe una proporzione di un funzionario ogni 18 comuni. Riteniamo che costruire una struttura di questo tipo, sia un ulteriore spreco di risorse, rispetto alla gestione di una misura completamente definanziata. La stessa Anbsc, chiamata esplicitamente in causa come amministrazione di supporto, avrebbe un carico di lavoro ulteriore rispetto a quello quotidiano, in un momento in cui le risorse umane sono inferiori rispetto al fabbisogno.

Beni confiscati alle mafie, sulla trasparenza "serve cambiare passo"

Misure di prevenzione a rischio

"L’approccio liquidatorio non può riguardare oggi anche i beni confiscati, straordinaria opportunità per i territori e le comunità"

Allo stesso modo, stiamo assistendo a un attacco costante al sistema delle misure di prevenzione, che metterebbe a rischio l’intero sistema di lotta alla criminalità organizzata. L’approccio liquidatorio che ha caratterizzato molte fasi della storia del Paese, nelle quali, per fare cassa, si sono svenduti ai privati e ai grandi gruppi immobiliari i beni pubblici, non può riguardare oggi anche i beni confiscati. Questi, invece, lungi dall’essere considerati un peso, sempre di più e sotto diversi punti di vista, vanno considerati come una straordinaria opportunità per i territori e le comunità. Questa è la rappresentazione più emblematica del senso risarcitorio della confisca e del riuso sociale come strumento di coesione territoriale. Occuparsi di beni confiscati deve recuperare il senso profondo di attuare politiche di comunità, che mettano al centro del pensiero pubblico le cittadine e i cittadini. Se le mafie costruiscono il loro potere con il controllo dei territori, la risposta delle istituzioni non può essere ambigua: costruire percorsi di giustizia sociale e di mutualismo attraverso luoghi che tornano ad essere comuni.

Riprendiamo, quindi, con le stesse parole che nel 1995 hanno guidato l’azione di Libera e anche, oggi più mai, sono al centro del nostro agire: “Vogliamo che lo Stato sequestri e confischi tutti i beni di provenienza illecita, da quelli dei mafiosi a quelli dei corrotti. Vogliamo che per i mobili e beni immobili confiscati siano rapidamente conferiti, attraverso lo Stato e i comuni, alla collettività per creare lavoro, scuole, servizi, sicurezza, lotta al disagio”.

Crediamo in un giornalismo di servizio ai cittadini, in notizie che non scadono il giorno dopo. Aiutaci a offrire un'informazione di qualità, sostieni lavialibera
  • Condividi

La rivista

2024 - numero 25

African dream

Ambiente, diritti, geopolitica. C'è un nuovo protagonista sulla scena internazionale

African dream
Vedi tutti i numeri

La newsletter de lavialibera

Ogni sabato la raccolta degli articoli della settimana, per non perdere neanche una notizia. 

Ogni prima domenica del mese un approfondimento speciale, per saperne di più e stupire gli amici al bar