John Cassara, ex agente dell'intelligence Usa e delle Dogane, durante l'audizione all'U.S. House Committee on Financial Services
John Cassara, ex agente dell'intelligence Usa e delle Dogane, durante l'audizione all'U.S. House Committee on Financial Services

Riciclaggio di denaro sporco, Cassara: "La Cina è la più grande minaccia"

In un'audizione al Comitato Usa per i servizi finanziari, l'ex agente investigativo John Cassara ha messo in guardia sul ruolo svolto da cittadini della Repubblica popolare. Punto di forza, i prezzi stracciati

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

12 settembre 2023

Quando si parla di riciclaggio di denaro, la Cina rappresenta la "più grande minaccia mondiale". Ne è convinto John Cassara, ex agente investigativo che ha lavorato sia per la Cia (agenzia di intelligence Usa che svolge attività all’estero) sia per le autorità doganali degli Stati Uniti, specializzandosi in crimini finanziari. Una carriera cominciata 30 anni fa: "Allora le attenzioni – dice – erano concentrate sui narcotrafficanti colombiani, i cartelli messicani e le organizzazioni criminali italo-americane. Nei decenni successivi ci siamo focalizzati anche sulla criminalità russa e i signori della guerra afghani, i più grandi fornitori al mondo di oppio. Oggi i cartelli colombiani, messicani e afghani potenti e mortali esistono ancora, così come le mafie italiane e russe rimangono forti. Ma, esaminando le attività criminali a livello globale, è di gran lunga la Cina il principale attore transnazionale". Concetti ribaditi anche davanti al Comitato Usa per i servizi finanziari in un’audizione che si è tenuta lo scorso marzo. Che la ’ndrangheta chiami i cinesi per pagare la droga, non lo stupisce.

Soldi "volanti" per pagare la droga

Cassara, perché definisce la Cina la "più grande minaccia globale" per il riciclaggio di denaro?

Un modo di analizzare l’argomento è prendere in considerazione i proventi delle attività illegali. Secondo i dati del Global financial integrity, un think tank con base a Washington che fa ricerca sui crimini finanziari, ogni anno la Cina introduce e ricicla nell’economia globale circa due trilioni di dollari derivanti da guadagni illeciti. Il Fondo monetario internazionale stima che il riciclaggio di denaro sporco rappresenti tra il 2 e il 5 per cento del prodotto interno lordo mondiale (pil) annuo: più o meno quattro triliardi di dollari. In altre parole, la Cina è responsabile di circa la metà del denaro riciclato nel mondo.

Quali sono le tecniche più usate?

La più diffusa ed estesa consiste di operazioni commerciali fittizie e fatture false. Ad esempio, per trasferire valore si può dichiarare di acquistare dei beni a un prezzo sopravvalutato, o di comprare più prodotti di quelli in realtà chiesti. Alcuni personaggi cinesi sono poi riusciti ad avere un ruolo nel mercato nero del cambio del peso, il più grande ed efficace metodo per riciclare i soldi incassati grazie alla vendita di droga negli Stati Uniti. Collaborano con i cartelli latinoamericani, individuando aziende cinesi o statunitensi che hanno grande liquidità e sono disposte a collaborare. In cambio di una commissione, queste imprese incassano il contante dei narcos per poi immetterlo nel loro regolare flusso di denaro e presentarlo come legittimo frutto dei loro affari. In contemporanea, trasferiscono la somma equivalente su un conto corrente basato in Cina, indicato dal broker. Infine c’è il fei-ch’ien, il sistema informale di trasferimento di valore, alimentato dalla grande diaspora cinese, utilizzato soprattutto dai migranti. La maggior parte delle transazioni è lecita e ha come fine il rientro dei capitali in patria, ma il fei-ch’ien ha una natura opaca che lo rende molto appetibile anche per i criminali. È perfetto per realizzare una serie di transazioni che hanno l’obiettivo di mascherare la provenienza illecita del denaro.

Riciclaggio di denaro, chiave del crimine moderno

Possiamo quantificare il fenomeno?

Purtroppo non esistono dati. Un monitoraggio è difficile, ma negli anni vi è stato anche disinteresse da parte delle autorità. Ho letto un vecchio report della Drug enforcement administration (Dea), l’agenzia federale antidroga statunitense, che già nei primi anni Settanta dava conto dell’uso del fei-ch’ien per l’acquisto di stupefacenti destinati agli Usa in Vietnam, durante la guerra. L’argomento è un po’ scomparso dai radar, ma sappiamo che esiste e non va trascurato.

In che modo i cinesi sono riusciti a conquistare la fiducia dei cartelli della droga latino-americani e delle mafie italiane?

Praticando prezzi competitivi. Tom Cindric, ex agente speciale della Dea, ha spiegato che per il servizio di riciclaggio reso con il mercato nero del cambio del peso, i criminali colombiani imponevano una commissione del 13- 18 per cento. Quella chiesta dai cinesi negli Stati Uniti non supera in media il 2 per cento e anche se varia molto di paese in paese, la convenienza resta. Inoltre, grazie all’enorme disponibilità di liquidità e alla presenza di una comunità molto compatta in ogni continente, riescono a garantire velocità ed efficienza. Un elemento fondamentale è il guanxi, termine con cui nella cultura cinese si indica un ampio ventaglio di relazioni sociali ed economiche che ogni individuo struttura fin dall’infanzia. Rapporti fondati sulla fiducia, che possono essere sfruttati per ottenere favori di qualsiasi genere, anche da parte di funzionari statali. Durante l’audizione lei è stato molto duro anche con il governo cinese.

Pensa che non stia facendo abbastanza?

La Repubblica popolare è un regime autoritario e quando vuole mettere fine a un fenomeno lo fa. In questo caso non intende intervenire per motivi di interesse. C’è una relazione, non ancora esplorata e difficilmente esplorabile, tra criminalità organizzata e partito.

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