Terremoto a L'Aquila, 15 anni dopo la sfida è non dimenticare

Intervista a Giustino Parisse, che il 6 aprile del 2009, nella frazione di Onna, perse due figli e il padre. "Dicono di guardare avanti e cancellare una pagina triste, ma il sisma fa parte della nostra storia e non possiamo scordarlo"

Marco Panzarella

Marco PanzarellaRedattore lavialibera

5 aprile 2024

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“In questi giorni c’è chi dice di guardare avanti, alcuni se la prendono perfino con le commemorazioni e i monumenti in ricordo delle vittime. Ma cancellare la memoria è un errore, in fondo anche il terremoto fa parte della nostra storia”. Giustino Parisse, 64 anni, giornalista del quotidiano Il Centro, nel sisma che il 6 aprile 2009 colpì l’Abruzzo ha perso due figli, Maria Paola e Domenico, di 16 e 18 anni, oltre al padre Domenico di 75 anni. “Lui è morto nella stessa stanza in cui sono nato io”.

Negli ultimi 15 anni niente ha scalfito il suo dolore, a differenza delle case di Onna – la frazione de L’Aquila dove risiedeva e ancora oggi vive – che dopo la scossa delle 3.32 si sgretolarono inghiottendo la sua famiglia. “Il terremoto ha ucciso 309 persone e l’1 per cento sono miei familiari. A me non si può certo chiedere di dimenticare”.

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L’ultima notte

“Da quel dolore devastante – racconta a lavialiberainsieme a mia moglie ho cercato di ripartire, ricostruendo lentamente la mia vita. Oggi molte cose mi amareggiano, soprattutto quando sento che bisogna dimenticare”. Quella notte a Onna tutto andò per il verso sbagliato. Dopo la prima scossa, avvertita intorno all’una di notte, Parisse raggiunse le camere dei figli con cui parlò brevemente, quindi si rimise a letto. “Alla Commissione grandi rischi non rimprovero la mancata previsione del terremoto, ma di avere sottovalutato la situazione. Non ci fu un’analisi vera e approfondita sui pericoli che correvamo”.

“Il terremoto ha ucciso 309 persone e l’1 per cento sono miei familiari. A me non si può certo chiedere di dimenticare”

“Ho molti sensi di colpa perché non sono riuscito a proteggere i miei figli come un padre dovrebbe fare. Da cronista, giorni prima, avevo scritto più volte dello sciame sismico, ma mi fidavo delle previsioni degli esperti. Sono sempre stato razionale e anche quella notte ho agito in tal senso”. Dopo il crollo, per circa tre ore, da sotto le macerie si udirono le richieste di aiuto del giovane Domenico, ma i soccorsi arrivarono dodici ore dopo quando ormai non c’era più nulla da fare.

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Le colpe dei morti

In questi anni, come se non bastasse, certi avvenimenti hanno acuito la sofferenza. Uno è datato 9 ottobre 2022, quando il Tribunale de L’Aquila ha accertato il concorso di colpa per 24 vittime del terremoto giudicando la loro condotta “incauta”, con la conseguente riduzione del risarcimento agli eredi. In particolare, secondo il giudice i morti rimasero a dormire “nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del 6 aprile”. Per questo motivo vi fu un concorso di colpa stimato nel 30 per cento, percentuale decurtata dal risarcimento danni.

Il 9 ottobre 2022 il Tribunale de L’Aquila ha accertato il concorso di colpa per 24 vittime del terremoto giudicando la loro condotta “incauta”, con la conseguente riduzione del risarcimento agli eredi

“In quella sentenza – commenta Parisse – è evidente il cinismo assoluto della giustizia civile. Scrivere che fu colpa delle vittime è assurdo, anche perché la pronuncia si riferisce perlopiù agli studenti che vivevano in edifici fatiscenti e non sicuri. È come se avessero detto che la morte dei miei figli è anche colpa loro perché non fuggirono dopo la prima scossa”. I 54 giovani universitari deceduti vivevano in case private, molte delle quali vecchie e poco sicure. “A L’Aquila dovremmo fare una penitenza pubblica, perché in una città universitaria, per giunta a elevato rischio sismico, facevamo finta che fosse tutto a posto. Dovremmo vergognarci per secoli, ma nessuno prova un senso di colpa”.

Un percorso incompleto

Nel 2024 L’Aquila è un luogo difficile da decifrare. Le gru sono ancora numerose e, a parte il corso principale, i cantieri affollano le altre vie del centro. “Il 6 aprile di 15 anni fa la città è stata azzoppata, poi ha avuto la forza di rimettersi in piedi e ha ripreso a camminare. Ora però è il momento di correre”, insiste Parisse, che poi aggiunge: “La ricostruzione è solo parziale, ma nel capoluogo siamo comunque avanti rispetto alle frazioni. Anche a Onna resta molto da fare, in certe zone ci sono ancora palazzi puntellati e cumuli di macerie. Per rivedere L’Aquila e le frazioni completamente ricostruite ci vorranno almeno altri 15 anni e qualche miliardo in più”.

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Nei moduli abitativi provvisori (map) edificati dopo il sisma vivono ancora 10mila persone. Tanti hanno ricostruito altrove, altri sperano un giorno di poter tornare nelle loro vecchie case. “La ricostruzione privata – osserva Parisse – va più veloce rispetto a quella pubblica, anche se tra la chiusura della pratica e l’avvio del cantiere trascorre molto tempo. A L’Aquila le periferie sono state ricostruite in breve tempo, mentre i problemi sono nati nel centro storico, dove gente avida che non ha intenzione di abitare quelle case e vuole ottenere il massimo, rallentando così il ritorno alla normalità”.

Identità perduta

“Nei luoghi del terremoto – dice Parisse – una volta accertate le perdite comincia un’altra storia, che si trascina per anni. Onna un giorno verrà completamente ricostruita ma non sarà più la stessa. L’errore che le istituzioni e la gente del posto stanno facendo è ricostruire i paesi e non le comunità”. Per preservare l’identità del luogo e non rimuovere il passato, venerdì 5 aprile nella frazione de L’Aquila è stata installata un’opera d’arte realizzata da Lorenzo Guzzini dal titolo Coperta. Si tratta di una fusione a stampa in bronzo selezionata nell’ambito del concorso internazionale Giornata della memoria del sisma del 6 aprile 2009.

“Onna un giorno verrà ricostruita ma non sarà più la stessa. L’errore che le istituzioni e la gente del posto stanno facendo è ricostruire i paesi e non le comunità”

A ottobre, intanto, sono cominciati i lavori nell’abitazione in cui Parisse perse i suoi figli e suo padre. “Penso serviranno tre anni per finirla, questo significa che riavrò casa mia 20 anni dopo il terremoto, un’enormità. Non so ancora se tornerò a viverci, nel frattempo abbiamo costruito a nostre spese da un’altra parte. Di sicuro, voglio trasformare parte dell’abitazione in una biblioteca; prima del sisma avevo 5mila libri e molti documenti sul terremoto, qualcosa è andato perduto ma molto si è salvato. Ora il mio desiderio è rendere disponibili queste testimonianze di carta alle generazioni future”.

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