Striscione del comitato Stop Solvay mostrato durante una manifestazione del 2021
Striscione del comitato Stop Solvay mostrato durante una manifestazione del 2021

Pfas alla Solvay di Spinetta Marengo, chiesto il rinvio a giudizio per due dirigenti

La procura di Alessandria vuole processare Andrea Diotto e Stefano Bigini, direttori dello stabilimento Solvay. Entrambi sono accusati di inquinamento ambientale colposo e omessa bonifica

Laura Fazzini

Laura FazziniGiornalista

14 novembre 2023

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A un anno dalla chiusura delle indagini per disastro ambientale, la procura di Alessandria ha chiesto il rinvio a giudizio per Stefano Bigini Andrea Diotto, direttori dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo, che produce anche Pfas, composti chimici molto utilizzati dall’industria in quanto impermeabili, ignifughi, ma anche idrorepellenti e antiaderenti. Entrambi sono accusati di inquinamento ambientale colposo e omessa bonifica a seguito della prima condanna del 2019.

Solvay di Spinetta Marengo: Pfas nel sangue dei residenti

È durata tre anni e mezzo l’attesa dei firmatari dell’esposto contro i possibili reati ambientali commessi dalla multinazionale belga Solvay. Un’attesa iniziata a giugno 2020 con un primo esposto, poi proseguita con il sopralluogo dei carabinieri e di Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale) nello stabilimento industriale di Spinetta Marengo, a inizio 2021, e terminata con la chiusura delle indagini, che indicava come reati commessi il disastro ambientale e il delitto colposo contro l’ambiente. Durante questo lasso di tempo Solvay ha continuato a produrre, malgrado un’autorizzazione integrata ambientale ancora in fase di revisione e le analisi di Arpa Alessandria, che hanno riscontrato la presenza di sostanze chimiche nell’aria intorno allo stabilimento.

Le sostanze rilasciate nell’ambiente, il reato di disastro

Il rinvio a giudizio nei confronti dei due direttori – Stefano Bigini per il periodo che va dal 2008 al 2018 e Andrea Diotto dal 2013 al 2018 – si riferisce all’omesso risanamento della pregressa contaminazione del sito, a seguito della condanna del 2015 confermata dalla Cassazione nel 2019. 

Solvay ha continuato a produrre, malgrado un’autorizzazione integrata ambientale ancora in fase di revisione e le analisi di Arpa Alessandria, che hanno riscontrato la presenza di sostanze chimiche nell’aria intorno allo stabilimento

Sostanze tossiche “storiche”, come il cromo esavalente, prodotte dal polo chimico non sono state rimosse dall’ambiente e, anzi, hanno continuato a inquinare il terreno e la falda sottostante. Secondo la procura, la modalità di gestione di questa contaminazione è stata affidata ad una barriera idraulica inefficace, che ha provocato una parziale fuoriuscita degli inquinanti dalla sede del polo verso l’esterno. 

Pfas, un filo rosso tra Miteni e Solvay

Un’evidenza di questo mancato risanamento è la presenza del composto cC6O4, brevettato e gelosamente custodito dalla Solvay, nell’area esterna allo stabilimento. L’azione giudiziaria amplia quindi alle sostanze attualmente in produzione, tra cui altri Pfas come la miscela ADV, il reato di disastro ambientale colposo. La procura sostiene che Solvay non ha bonificato dalle sostanze oggetto della prima condanna, al contrario ha perpetuato una contaminazione irreversibile di tutte le matrici ambientali interne ed esterne al sito. Suolo, acqua e aria sono cronicamente inquinate dall’emissione consapevole da parte dell’industria.

Un secondo filone di indagine, le discariche interne

In questi tre anni di lavoro i magistrati hanno condotto un’ulteriore indagine destinata alla gestione dei rifiuti chimici prodotti dalla multinazionale. Ad agosto 2023 i carabinieri del Noe (Nucleo operativo ecologico) di Alessandria sono tornati a visitare il polo chimico per sequestrare due discariche interne, formalmente esaurite ma in realtà ancora attive. 

Ad agosto 2023 i carabinieri del Noe di Alessandria sono tornati a visitare il polo chimico per sequestrare due discariche interne, formalmente esaurite ma in realtà ancora attive

Già nella chiusura indagini di metà novembre 2022 era stata inclusa l’omissione del contenimento e prevenzione del possibile dilavamento dei materiali di scarto del processo produttivo, inclusi i Pfas, movimentati all’aperto e infiltrati nel terreno per inidonea conservazione nelle discariche per i “gessi”. Il sequestro estivo conferma la possibile gestione illecita dei rifiuti industriali, che per Solvay sono smaltiti legalmente all’interno del polo e in conferimenti esterni destinati a siti autorizzati. Tali rifiuti sono stati però ritrovati nei percolati di discariche torinesi a dosi altissime e non dichiarate. Un secondo filone di indagine in divenire, con la procura che a breve dovrebbe chiudere il fascicolo.

La situazione attuale, la responsabilità di Solvay e il trasferimento dei direttori

Oltre ai due dirigenti indicati nella chiusura delle indagini, la stessa multinazionale viene indicata come responsabile dei reati 452 quater (disastro ambientale) e 452 quinques (delitti colposi contro l’ambiente) del codice penale. Solvay è accusata insomma di aver tratto vantaggio dalla mancata bonifica, risparmiando sui costi e accrescendo la produzione.

Nelle discariche di Torino ci sono Pfas della Solvay

Dal primo novembre 2023, a un anno esatto dalla chiusura delle indagini, Solvay Specialty Polymers ha un nuovo direttore, Stefano Colosio, subentrato ad Andrea Diotto, che è stato trasferito dopo oltre 20 anni da Alessandria allo stabilimento lombardo della multinazionale, in provincia di MilanoLo stesso Diotto aveva annunciato il suo trasferimento durante l’evento pubblico Fabbriche Aperte di fine ottobre, voluto fortemente dall’azienda per spiegare alla popolazione lo sforzo economico – 40 milioni di euro – destinato a trattenere i Pfas ed evitare la contaminazione. Inquinamento per cui lo stesso Diotto e Solvay dovranno ora rispondere in tribunale.

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