Sanità in Italia: risorse tagliate e sempre più privato, un sistema in crisi

La sanità italiana è in affanno: tra ospedali vecchi e posti letto mancanti, i finanziamenti pubblici sono ai minimi storici e sempre più medici e infermieri lasciano il pubblico per passare al privato. 14 scienziati chiedono al Governo di ricominciare a finanziare il settore

Marco Panzarella

Marco PanzarellaRedattore lavialibera

Davide Romanelli

Davide RomanelliGrafico

Aggiornato il giorno 4 aprile 2024

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Aggiornamento: "È evidente che il servizio sanitario non dà più quello che dava una volta, soprattutto per quanto riguarda le visite specialistiche, la diagnostica e la piccola chirurgia. I cittadini sono costretti a rinviare o a ricorrere al privato e alle assicurazioni. La salute così è solo di chi ha i soldi per permettersela, una profonda ingiustizia oltre che un fatto anticostituzionale" ha affermato Silvio Garattini, fondatore dell'Istituto di ricerche farmacologiche 'Mario Negri' all'Ansa, lanciando il 3 aprile un appello perchè la sanità rimanga un bene pubblico. Alla denuncia si sono uniti altri esponenti illustri del mondo accademico come il premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi e Franco Locatelli,  presidente del Consiglio superiore di sanità.

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Nel documento presentato si ricorda come un Servizio sanitario nazionale accessibile abbia permesso un innalzamento dell'aspettativa di vita di quasi 10 anni. Ma questi progressi sono messi a dura prova da anni di politiche che mirano solo ai tagli. "Il sistema presenta inequivocabili segni di crisi: frenata o arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente (e talora insostenibile) di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali, per citare solo i problemi più importanti". Le soluzioni proposte dagli scienziati vanno in una direzione precisa: ricominciare a finanziare questo settore cruciale, arrivando – come già stanno facendo altri Paesi europei – all'8 per cento del Pil.  Queste risorse servono a colmare il divario che già esiste tra Nord e Sud, da un lato valorizzando le eccellenze, dall'altra creando continuità tra ospedale, territorio e comunità


In Italia, dal 2010 al 2020, sono stati chiusi 111 ospedali, 11 pronto soccorso e tagliati quasi 40mila posti letto. Fino allo scoppio della pandemia da covid, lo Stato ha centellinato i finanziamenti pubblici (in Europa 15 paesi investono di più), annichilendo un sistema già in sofferenza, caratterizzato da sprechi e mancanza di visione. Come se non bastasse, gli edifici esistenti sono vecchi, spesso non a norma e quindi pericolosi per dipendenti e pazienti.

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"Il 30 per cento degli ospedali italiani è stato costruito fra il 1941 e il 1970; il 20 per cento dal 1901 al 1940; il 6 per cento dal 1801 al 1900; il 10 per cento prima del 1800. Per combattere le infezioni ospedaliere abbiamo bisogno di ripensare gli spazi, i medici lavorano in ambienti inadeguati", ha detto lo scorso maggio a Roma, durante l’open meeting dei Grandi ospedali italiani, Antonio D’Amore, vicepresidente della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) e direttore generale dell’ospedale Cardarelli di Napoli.

Un diritto da tutelare

Alle carenze strutturali si aggiungono quelle di personale: mancano all’appello 30mila medici e 250mila infermieri, numeri destinati a crescere vista l’età media dei professionisti che, secondo l’Istat, per i medici è di 52,5 anni (uno su due ha più di 55 anni), mentre per gli infermieri è pari a 48,2 anni (uno su quattro ha più di 55 anni). Per colmare il gap con gli altri paesi europei, lo Stato dovrebbe investire 30,5 miliardi di euro. Un’enormità.

La sanità non può essere subalterna all'economia

Nonostante le difficoltà, la sanità pubblica resta un caposaldo nell’ordinamento giuridico italiano, sancito dall’articolo 32 della Costituzione secondo cui "la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti". 

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Via dal sistema pubblico

Un principio sacrosanto che sta vacillando, come dimostra il numero sempre maggiore di persone che si rivolge al sistema privato. Utenti scoraggiati da liste d’attesa infinite, in parte dovute alla carenza di personale. In media ogni famiglia spende nella sanità privata 1.700 euro all’anno, mentre visite specialistiche e prestazioni diagnostiche costano circa 2 miliardi di euro. 

In media ogni famiglia spende nella sanità privata 1.700 euro all’anno, mentre visite specialistiche e prestazioni diagnostiche costano circa 2 miliardi di euro

Il privato “cattura” i cittadini e attrae i medici: nel 2021 sono 2.886 i camici bianchi che hanno lasciato il posto pubblico per proseguire altrove la propria carriera, il 39 per cento in più rispetto al 2020. Alcuni fuggono all’estero alla ricerca di un lavoro più gratificante e paghe migliori, altri rimangono in Italia ma cedono alle lusinghe del privato. Le ripercussioni sui cittadini sono evidenti: con meno personale a disposizione si riducono le prestazioni sanitarie. Nel 2020, rispetto al decennio precedente, ne sono state erogate 282,8 milioni in meno. Il risultato? Ci si ammala di più.

Medici di famiglia cercasi

La crisi del sistema sanitario pubblico ha il volto dei medici di base. Dal 2016 al 2021, tra pensionamenti e rinunce, ne risultano 3.667 in meno e le proiezioni a breve termine sono preoccupanti: nel 2025 il numero diminuirà di 3.452 unità rispetto al 2021, con le regioni più coinvolte che sono tutte localizzate nel Centro-Sud (Lazio, Sicilia, Campania e Puglia). Per correre ai ripari, la legge 87 del 3 luglio 2023 ha disposto che ogni guardia medica potrà prendere in carico fino a 1.000 pazienti. L’ennesimo cerotto che rattoppa senza curare.

Da lavialibera n° 22, Altro che locale

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