Andrea Purgatori. Foto: Fb
Andrea Purgatori. Foto: Fb

Falsi scoop e vero giornalismo, ricordando Andrea Purgatori

Purtroppo oggi gli scoop giornalistici, più o meno veri, si comprano, così come si comprano le interviste a mafiosi, ex mafiosi, collaboratori di giustizia veri o inquinatori. Una riflessione sul giornalismo d'inchiesta, in ricordo di Andrea Purgatori

Toni Mira

Toni MiraGiornalista e componente del comitato scientifico de lavialibera

31 luglio 2023

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Il 19 luglio abbiamo ricordato, e scritto, del terribile attentato nel quale morirono Paolo Borsellino e i cinque poliziotti di scorta, Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina (mai limitarsi a scrivere “uomini della scorta”, avevano e hanno un nome, e il nome è il primo diritto). Borsellino, tra le tante importanti riflessioni che ci ha lasciato, si rivolse una volta al mondo dell’informazione, a noi giornalisti. “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”. Lo stesso giorno dell’anniversario della strage di via D’Amelio ci ha lasciati Andrea Purgatori, uno che di mafia ha parlato e scritto alla radio, in televisione e sui giornali. Ma anche di stragi, terrorismo, corruzione e dei tanti “misteri d'Italia” che hanno caratterizzato la nostra storia e che ancora la caratterizzano, compresa la strage di via D’Amelio. Lo ha fatto sempre alla ricerca della verità, non dello scoop.

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Per contribuire alla ricerca della verità, stando così al fianco dei magistrati e delle vittime, non per apparire come il più bravo (e Andrea era davvero un bravo giornalista). E a proposito di scoop, terza coincidenza, il giorno dopo, 20 luglio, i bravissimi magistrati palermitani, guidati dal procuratore Maurizio De Lucia hanno fatto arrestare un maresciallo dei carabinieri e un politico locale che stavano provando a vendere a giornalisti dei file trafugati sulla cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro. Il tramite era il fotografo e giornalista Fabrizio Corona, noto per gossip e altre inchieste, e nuovamente indagato. C’era dunque chi vendeva scoop, sicuro di trovare qualcuno disposto a comprare. Perché purtroppo gli scoop, più o meno veri, si comprano, così come le interviste a mafiosi, ex mafiosi, collaboratori di giustizia veri o inquinatori, 007 reali o farlocchi. Scoop facili, se si hanno soldi e se si è spregiudicati.

C’era dunque chi vendeva scoop, sicuro di trovare qualcuno disposto a comprare. Notizie facili, se si hanno soldi e se si è spregiudicati

Scoop come ricerca spasmodica dell’apparire, il giornalista che diventa notizia e non che cerca la notizia. Lo scoop invece è fatica, tempo, approfondimento, verifica, capacità di fare filtro. E anche sensibilità deontologica e etica. E questo non lo compri. Non è il tutto per tutto, non è l’io, ma un contributo per il noi. E quando lo raggiungi puoi essere giustamente orgoglioso: non lo sbatti in faccia ai colleghi o lo usi per farti bello. Lo condividi, soprattutto quando tra colleghi si fa squadra. Proprio per arrivare alla verità.

Servono cronisti che cercano la notizia, leggono documenti, ascoltano testimoni, scavano, consumando la suola delle scarpe come ci invita a fare Papa Francesco

Così accadeva tra noi cronisti che frequentavamo tra la fine degli anni ‘80 e gli anni ‘90 Palazzo San Macuto, il “palazzo dei misteri”, la sede delle commissioni bicamerali d’inchiesta, la commissione Antimafia, la commissione Stragi e Terrorismo, la commissione Ecomafie, la commissione Moro. Tra noi anche Andrea (quell’esperienza l’ha poi raccontata nel film Muro di gomma), ed altri “grandi” che non ci sono più come David Sassoli, Peppe D’Avanzo, Franco Giustolisi. Cronisti, appunto, che cercano la notizia, leggono documenti, ascoltano testimoni, scavano, consumando la suola delle scarpe come ci invita a fare Papa Francesco. Che rischiano, ma senza vantarsi delle minacce quasi fossero medaglie, perché quello che conta non è il titolo su di te ma le notizie che riesci a raccontare. E a raccontarlo bene, con passione e con cura della scrittura.

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Questo faceva Andrea Purgatori. E lo faceva molto bene. Così i suoi tanti scoop, soprattutto quelli sulla strage di Ustica, sono lezioni di giornalismo, di quel giornalismo d’inchiesta che oggi sembra in via d’estinzione. Non piace a tanti editori, ma anche noi giornalisti non siamo indenni da responsabilità. Troppi social e poca strada, troppa fretta e poca profondità (la notizia chiede tempo), troppi io e pochi noi. Queste tre incredibili coincidenze di questo infuocato luglio (non solo per il clima), ci impongono di riflettere, anche per respingere chi torna a far respirare aria di bavaglio o di informazione a comando o come minimo superficiale. Essere credibili, trasparenti, inattaccabili, per continuare a parlare e scrivere, come chiedeva Borsellino, come faceva Purgatori. 

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