6 giugno 2023, Roma. La presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo insieme al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo (Angelo Carconi/Ansa)
6 giugno 2023, Roma. La presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo insieme al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo (Angelo Carconi/Ansa)

Il procuratore nazionale Melillo in Antimafia: "Attenzione a ridurre i controlli sul Pnrr"

Prima audizione della commissione antimafia presieduta da Chiara Colosimo. Ascoltato il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, sollecitato soprattutto in materia di controlli e verifiche sulla spesa dei fondi del Pnrr

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

22 giugno 2023

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Attenzione a ridurre i controlli preventivi sui progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) perché l'Italia rischia una figuraccia. È il principale allarme sollevato mercoledì dal procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo nel corso della prima audizione della commissione parlamentare antimafia presieduta da Chiara Colosimo. Il magistrato è stato ascoltato per quasi due ore da senatori e deputati. “Penso sia importante un confronto costante in parallelo con la Direzione nazionale”, ha detto la presidente Colosimo sottolineando che non c’era “nessuno di più adeguato a tracciare le linee da seguire”.

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Melillo difende le intercettazioni

Uno dei primissimi temi trattati da Melillo riguarda le intercettazioni: “Non ne conosco di inutili essendo tutte disposte da un giudice”, ha detto spiegando che “l’efficienza e le garanzie (degli indagati, ndr) devono crescere assieme” e che “non deve esserci alcun arretramento nel ricorso” a questo strumento. Una risposta a distanza al ministro della Giustizia Carlo Nordio, che aveva sollevato dubbi sull’utilità e sull’efficacia delle captazioni telefoniche, definendole "una barbarie che costa 200 milioni di euro l'anno per raggiungere risultati minimi".

Il procuratore nazionale antimafia e gli altri distretti giudiziari hanno anche inviato una nota al ministro della Giustizia per evidenziare la gravità dello stato delle infrastrutture che reggono il sistema delle intercettazioni e l'urgenza di decisi interventi. Il dito è quindi puntato anche sull'"arretratezza del tessuto normativo e tecnologico del sistema giudiziario", un problema che riguarda anche "il versante del fronte investigativo, che su questo ha accumulato un grave ritardo". Ha inoltre accennato alla “difficoltà a penetrare in ambienti cybernetici utilizzati dalle organizzazioni criminali”, sottolineando che “il concetto di cybercrime non è separabile da organizzazioni mafiose-terroristiche: è un cardine strutturale di questi reti”. Ha inoltre messo in allarme circa una delle possibili conseguenze della guerra della Russia all’Ucraina: “Il conflitto in Ucraina fungerà da moltiplicatore di queste reti criminali. Quel teatro di guerra è anche un teatro di sperimentazione di nuove tecnologie aggressive e una volta finito il conflitto gli uomini addestrati entreranno con ruoli importanti nelle reti terroristiche e criminali e useranno quel know-how per altri fini”. La questione tecnologica “riguarda anche un problema di sicurezza dello Stato, degli apparati di polizia, giustizia e intelligence” e per questa ragione, se le tecnologie sono in mano ad aziende private, le infrastrutture devono rimanere in mano pubblica.

Leggi l'intervista al procuratore antimafia Giovanni Melillo sul cybercrime

Nella sua breve relazione introduttiva, Melillo ha posto all’attenzione dei parlamentari una serie di elementi, come il traffico internazionale di droga compiuto da organizzazioni capaci di controllare le reti della logistica, l’utilizzo del sistema bancario parallelo a quello ufficiale (come l’hawala) “che va dal Centro e Sud America al Medioriente, la Turchia, il Pakistan e la Cina, un sistema attraverso il quale il narcotraffico oggi non sarebbe possibile”. Occhi aperti anche su ciò “che avviene nelle curve degli stadi italiani, dalla Sicilia al Piemonte”, luoghi di reclutamento per le organizzazioni criminali, come dimostrano gli omicidi di Vittorio Boiocchi a Milano e di Fabrizio Piscitelli a Roma, ma anche per le organizzazioni suprematiste di destra.

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Le mafie come imprese

“La ‘ndrangheta e la camorra sono diventate anche hub di servizi illegali per le imprese. L’economia criminale non si oppone al mercato"

L’evoluzione della sfera economica, imprenditoriale e finanziaria delle mafie è stato un tema su cui il procuratore si è soffermato: “La nozione di infiltrazione è priva di valore descrittivo. Siamo di fronte a una immedesimazione. Le mafie sono espressione e strumento di accumulazone della ricchezza economica e di raffinati processi di espansione speculativa – ha detto –. Occorre riconoscere che la criminalità organizzata mafiosa non è semplicemente oppressione dei mercati legali, ma anche un'architrave importante di processi di alimentazione finanziaria dell’ordinario sistema di impresa, l’economia criminale non si oppone al mercato e questo comporta anche la trasformazione delle organizzazioni criminali. Le relazioni col mercato cambiano i gruppi mafiosi”.

Così “la ‘ndrangheta e la camorra sono diventate anche hub di servizi illegali per le imprese per la creazione di società cartiere o il trasporto di denaro contante”. Melillo ha dato atto di “riunioni periodiche con i magistrati della Procura europea perché ci sono organizzazioni mafiose che danneggiano gli interessi finanziari dell’Ue”.

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Il Pnrr e i controlli antimafia secondo Giovanni Melillo

"I rischi non gravano soltanto sul sistema delle opere pubbliche nella missione ‘Grandi infrastrutture’, ma soprattutto sulla missione ‘Transizione ecologica’. Si parla di 60 miliardi di euro circa anziché 30”

Una gran parte dell’intervento di Melillo in Antimafia ha riguardato i controlli sull’utilizzo dei fondi del Pnrr. “Non possiamo fare un eccesso di controlli agli imprenditori per bene. Cosa potrebbe fare il legislatore senza appesantire l’economia legale?”, ha domandato Gianluca Cantalamessa, senatore della Lega.

Secondo il magistrato, “per quanto riguarda il Pnrr, i rischi non gravano soltanto sul sistema delle opere pubbliche nella missione ‘Grandi infrastrutture’, ma soprattutto sulla missione ‘Transizione ecologica’”, uno dei pilastri del piano: “Si parla di 60 miliardi di euro circa anziché 30”, ha ricordato aggiungendo che questo ambito “soffre della mancanza degli strumenti di controllo che esistono su opere e servizi”. “Non posso che esprimere una grande preoccupazione” nel “rischio di esporre questa gigantesca manovra della finanza pubblica a rischi di spoliazione delle risorse destinate alla ripresa del Paese”. Il rischio “è grande”.

Senza controlli prima, poi ci sarà l’intervento repressivo

Melillo ha quindi messo in guardia sui limiti ai controlli preventivi, perché se si dimostreranno insufficienti, “dopo comporterà amarissimi prezzi per la credibilità del paese”. Non solo: “È del tutto evidente che l’arretramento della funzione di prevenzione determinerà poi la drammatizzazione dell’impatto dell’intervento giudiziario”, anche con effetti sulle sorti delle missioni da realizzare, “inevitabilmente sarà un teatro futuro di tensioni e polemiche istituzionali”, ha profetizzato.

I controlli lenti generano abusi

“Sono pronto a riconoscere che l’azione antimafia deve fare i conti con le esigenze di rapidità dell’attuazione del Pnrr”

“Sono pronto a riconoscere che l’azione antimafia deve fare i conti con le esigenze di rapidità dell’attuazione del Pnrr”, esigenze che condivide e che paiono un segnale di apertura. Melillo ha invitati a non pensare che “l’azione di prevenzione possa avere effetti paralizzanti sul Paese” perché “se questo fosse il risultato verrebbe meno la ragione d’essere dell’azione di prevenzione”. Inoltre ha aggiunto che una “macchina dei controlli lenti e farraginosa” non può fermare la criminalità, anzi può essere un fattore “di accelerazione di processi criminosi” ponendo le “condizioni ideali per corruzione e abusi”.

Meno controlli esterni, ma più rigore interno

Di fronte a una riduzione dei controlli esterni, Melillo vorrebbe vedere un maggiore rigore dentro le amministrazioni. “Riterrei più credibile questa pretesa se fosse accompagnata da una rivendicazione di controlli interni”, mentre invece non vede finora “tracce visibili”. La pubblica amministrazione dovrebbe “rivendicare i principi di disciplina e onore”, ma finora “le funzioni di prevenzione della corruzione sono diventati una sorta di incarico onorifico o di macchina produttiva di noiosi oneri burocratici ma privi di pratica effettività”.

L’importanza di avere transazioni tracciate

“Chi riceve fondi dallo Stato usi conti correnti dedicati per migliorare la tracciabilità – ha detto Melillo, suggerendo l'utilizzo nelle aziende di un conto corrente specifico e dedicato unicamente all'utilizzo dei finanziamenti pubblici –. Chi usa soldi pubblici ha un dovere di rendicontazione, non stiamo parlando di una limitazione all’autonomia dell’impresa”. Si tratta di uno strumento già sperimentato, che però non viene utilizzato dal 2014 per le resistenze di imprese e banche, ha precisato.

Un avvertimento ai colleghi magistrati

Il magistrato invita i suoi colleghi a darsi da fare: “Se qualcuno pensa che indagini e processi che accompagneranno l’uso delle risorse europee potranno continuare silenziosamente a essere accantonate nelle priorità degli uffici giudiziari per incamminarsi verso la scure della prescrizione, credo che sarà in gioco la credibilità del sistema giudiziario e anche quella del pubblico ministero se si tarderanno a darsi programmi investigativi adeguati alla complessità di questi scenari”.

Amministrazione giudiziaria delle aziende confiscate alle mafie

"I giudici non sono fatti per amministrare i beni. L’amministrazione deve essere in mano giudiziaria per un periodo limitato di tempo e poi si deve passare la mano"

Su domanda di un componente della commissione, Melillo ha indicato un difetto del sistema di prevenzione, con i sequestri e le confische di aziende in odor di mafia. Quel difetto è individuato “nel sistema di amministrazione” perché “i giudici non sono fatti per amministrare i beni. L’amministrazione deve essere in mano giudiziaria per un periodo limitato di tempo – tre mesi, sei mesi, necessario alla raccolta degli elementi utili ai fini investigativi – e poi si deve passare la mano”. Con questa procedura, invece “si sovraccarica la giustizia di compiti impropri” e si aumentano le spese che alla fine "superano la ragion d’essere del sequestro e della confisca”.

Per questo Melillo ha aggiunto che “il sistema va ripensato, tornando indietro rispetto le scelte del 2017 (quando avvenne una riforma delle norme in materia antimafia, ndr), viziate da un eccesso di fiducia nel sistema giudiziario”. Quello che Melillo ha auspicato è “un intervento più radicale”.

Minori e criminalità

“Si sta abbassando molto l’età di minori coinvolti nei reati”, ha fatto notare Enza Rando, senatrice Pd (ex vicepresidente di Libera). “Il fenomeno è uno delle cartine tornasole più rilevanti del rischio di considerare il crimine organizzato una questione affidata a magistrati e forze di polizia. Nell’attrazione di giovani e giovanissimi nelle fila di organizzioni criminali si rileva un profilo fallimentare delle politiche pubbliche, quelle di tipo educative, della formazione, dei servizi sociali, dell’integrazione, delle politiche del lavoro e persino urbanistiche”.

“Anche le esperienze più avanzate come Liberi di scegliere non possono nascondere quella realtà perché quel protocollo funziona nei casi estremi”, non ha un’applicazione “diffusa” e non può essere utilizzato come “via di fuga da altre responsabilità”. Da parte della Dnaa c’’è un “convinto sostegno” all’applicazione di quel protocollo quando “obiettivamente necessario”.

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