Coronavirus, la strage silenziosa nelle residenze per pazienti psichici e psichiatrici

Nelle strutture mancano i dispositivi di protezione, non vengono fatti i tamponi, e c'è il rischio che gli ospiti malati siano discriminati nell'accesso alle cure

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

Aggiornato il giorno 12 aprile 2020

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Non solo le case di riposo per anziani (Rsa), anche le 646 residenze specializzate nella cura dei disabili psichici e le comunità per pazienti psichiatrici sono abbandonate al loro destino nell'emergenza coronavirus. Stragi e focolai silenziosi. Nelle ultime settimane sono morte almeno 22 donne nell'istituto Bassano Cremonesini di Pontevico, in provincia di Brescia, che ospita 320 disabili psichiche. Molte di loro non hanno ottenuto il tampone. Dei 300 impiegati, ne risultano contagiati almeno 70. Mentre nell'istituto per pazienti ex psichiatrici Opera Don Uva di Bisceglie (Puglia) i contagi sono 46. A comunicarlo è stato il sindaco Angelantonio Angarano che nei giorni scorsi aveva chiesto tamponi per tutti gli ospiti: dopo i test i positivi sono schizzati da quattro, rilevati nei primi giorni di aprile, a 37, a cui si aggiungono 9 operatori su 49 totali. 

Tutte le strutture hanno gli stessi problemi: oltre al prolungato isolamento, che impedisce agli ospiti di uscire e ai loro familiari di andarli a trovare, "mancano i dispositivi di protezione personale, non sempre ci sono gli spazi per la quarantena precauzionale o per mettere in isolamento chi presenta sintomi sospetti Covid-19, e non vengono fatti i tamponi", riassume Sara Cassin, presidente di Fenascop, la federazione nazionale delle strutture comunitarie psicoterapeutiche.

Nessuna indicazione sulla gestione dei pazienti Covid-19 gravi

Dopo la Lombardia, una delle situazioni più critiche è in Piemonte, dove il picco dei contagi è atteso nei prossimi giorni e Francesca Frediani e Giorgio Bertola, rispettivamente capogruppo e consigliere regionale del Movimento cinque stelle in Piemonte, hanno denunciato "il ritardo con cui ci si è confrontati con le comunità psichiatriche", nonché l'assenza di una visione d'insieme. In un documento, l'Ordine dei medici della Regione ha lamentato la gestione quasi esclusivamente ospedaliera dell'epidemia. Il tutto di fronte a "continue, disperate, segnalazioni di strutture sanitarie e socio-assistenziali che continuano a lavorare in assenza di un coordinamento centrale, informazioni chiare, dispositivi di sicurezza sufficienti, sorveglianza attiva sul territorio e tamponi", attacca Marco Grimaldi, capogruppo di Liberi Uguali e Verdi. Le storie delle comunità emergono a fatica, ma i casi positivi sono stati registrati anche al loro interno. E c'è una grande lacuna nei protocolli di gestione che le aziende sanitarie locali hanno adottato per le "strutture semiresidenziali socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e disabili": non è prevista alcuna indicazione sulla procedura da seguire se un ospite è grave al punto da aver bisogno di essere sottoposto a terapia subintensiva.

Il rischio di discriminazioni

Il rischio che i pazienti con disabilità psichica o patologia psichiatrica vengano discriminati e non siano presi in carico dagli ospedali, già oberati, "esiste" ammette Cassin. "Sono persone che hanno bisogno di un supporto, o comunque di un'accortezza, ulteriore rispetto agli altri malati", dice. "Le strutture non devono essere lasciate sole a fronteggiare l'emergenza, ma è necessario un coordinamento con la protezione civile, il servizio di protezione e prevenzione, le aziende sanitarie locali e i medici di base per predisporre dei percorsi ad hoc per questi pazienti". Nei giorni scorsi la Società italiana di psichiatria ha lanciato un appello alle Regioni "per approvare con urgenza direttive per i servizi di salute mentale e garantire equità di accesso alle cure ai pazienti psichiatrici Covid positivi, sicurezza degli operatori e continuità assistenziale durante l’emergenza sanitaria".

"Necessario che i ricoveri dovuti a Covid-19 di pazienti con disturbi mentali avvengano nei reparti ordinari"Enrico Zanalda - presidente Società italiana di psichiatria

Le strutture per pazienti psichiatrici sono state definite una "polveriera", dato che in molti casi gli ospiti sono affetti da malattie respiratorie per via degli alti livelli di tabagismo. Il timore che il loro destino segua quello delle Rsa, sulle cui morti le procure hanno appena iniziato ad aprire le inchieste, è alto. "Per contrastare la creazione di nuovi focolai di contagio è necessario che i ricoveri dovuti a Covid-19 di pazienti con disturbi mentali avvengano nei reparti ordinari, come per tutti i cittadini, con il sostegno del personale dei servizi di salute mentale, impedendo ogni forma di discriminazione", ha ammonito Enrico Zanalda, presidente Sip. Massimo Di Giannantonio, presidente eletto Sip, ha aggiunto: "Ricoverarli in un reparto Covid ordinario, senza il supporto di una specifica assistenza, vuol dire mettere a rischio la loro salute e quella degli altri. Altrettanto impossibile pensare che possano essere gestiti in strutture ospedaliere o residenziali senza aree dedicate o camere isolate”.

Spazi per l'isolamento assenti

"Non sempre ci sono gli spazi per la quarantena precauzionale o per mettere in isolamento chi presenta sintomi sospetti Covid-19Sara Cassin - presidente nazionale Fenascop

Tutti i punti critici della situazione emergono comparando le indicazioni fornite dalle Asl — ottenute da lavialibera — alle esigenze delle strutture, nonché a quello che realmente succede al loro interno. Il primo nodo riguarda l'impossibilità, per alcune di loro, di isolare sia i nuovi arrivi, che dovrebbero essere sottoposti a sorveglianza sanitaria per quattordici giorni, sia gli ospiti ricoverati in un presidio ospedaliero per coronavirus e che "dopo la completa stabilizzazione clinica" possono tornare nella strutturad’origine, "senza attendere la negativizzazione dell’infezione". Ma "non tutte le strutture hanno a disposizione camere libere o spazi per creare delle aree dedicate", spiega Cassin, che sotto l'ombrello della Fenascop in Piemonte gestisce oltre 600 posti letto. Una lacuna che espone tutti gli ospiti delle comunità in questione al rischio di un contagio.

Tamponi a discrezione dell'Asl

Lo stesso discorso vale per i pazienti con "sintomi sospetti" e che in ogni caso si chiede alle comunità di gestire come presunti "Covid-19 positivi". Mentre la decisione di eseguire tamponi viene lasciata a discrezione dell'azienda sanitaria locale che ne valuta l'opportunità "al solo scopo di avere conferma dell'esistenza di un focolaio". Una testimonianza di quanto succede arriva da una struttura in cui da una settima una persona presenta febbre altalenante, ma la Asl non la sottopone a tampone nonostante conviva con altri pazienti psichiatrici e con gli operatori che forniscono loro assistenza. Da quanto risulta a lavialibera, solo alcune comunità sono riuscite a ottenere i tamponi per tutti i loro pazienti, scoprendo i casi di Covid: altrimenti il servizio non viene fornito se non in presenza di sintomi particolarmente evidenti. 

Sembra un copione già visto. Invece fare i tamponi, secondo Cassin, è essenziale non solo per i sintomatici ma per tutti. "Sarebbe estremamente utile sapere chi, fra gli operatori e gli ospiti, è potenzialmente contagioso prima che manifesti sintomi e sia necessario mettere tutti in quarantena, come è già accaduto in alcune strutture. Inoltre, considerata la temporanea penuria di operatori, dato che molti si trovano in isolamento domiciliare, i tamponi servirebbero a gestire al meglio le persone e a evitare di rimanere senza personale".

Mascherine bloccate in dogana 

Un altro problema riguarda i dispositivi di protezione personale per gli operatori, che in questo momento vengono considerati "gli unici potenziali vettori dell’infezione nei confronti degli utenti ospiti delle strutture residenziali", stando a quanto si legge nelle indicazioni delle aziende sanitarie locali. "Ho comprato le mascherine in tempo, pagandole a peso d'oro, ma il mio ordine è stato fermato alla dogana di Malpensa ed è rimasto bloccato per una quindicina di giorni — denuncia Cassin —. Ho dovuto chiedere alla Protezione civile di sbloccarlo e quando il carico è arrivato, il suo contenuto era dimezzato". Danila Mezzano, presidente del Consorzio Naos e della Cooperativa sociale Progetto Muret, ha vissuto un'identica situazione: "Abbiamo ordinato le mascherine, sono state fermate alla dogana e poi ne è stata recapitata la metà. Ne abbiamo chieste altre, ma non sono mai arrivate".

lavialibera sta raccontando l'emergenza coronavirus guardando alla moltitudine di fragilità che l’epidemia ha messo a nudo. Puoi leggere tutti i nostri articoli qui.

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