Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro (Foto Palácio do Planalto/Flickr)
Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro (Foto Palácio do Planalto/Flickr)

Il coronavirus in America Latina, dove restare a casa è un privilegio

Tra sistemi sanitari carenti e democrazie fragili, il Sars-CoV-2 rischia di colpire duramente le classi più povere del continente. La testimonianza delle associazioni di volontariato locale

Emiliano Cottini

Emiliano CottiniReferente del settore internazionale di Libera - area America Latina

1 aprile 2020

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Un sistema sanitario fragilissimo, la necessità di uscire di casa per guadagnarsi da mangiare e l'impossibilità di vivere in una baracca con una famiglia numerosa. E poi governi guidati con fare repressivo da politici autoritari. In America Latina il coronavirus può fare gravi danni, soprattutto tra i più poveri. Secondo i dati aggiornati al 30 marzo (vedi la tabella sotto), i numeri dei contagi confermati sono relativamente bassi, ma vanno presi con le pinze: salgono in fretta, negli ultimi cinque giorni sono raddoppiati e, come riferiscono alcuni esponenti delle sessanta associazioni della rete America Latina Alternativa Social (Alas), nella maggior parte degli Stati non è chiaro se e quanti test si stiano facendo. Lo scorso fine settimana il ministero della Salute del Messico ha ammesso di fare meno di mille test al giorno, pochissimi a confronto di una popolazione che è circa il doppio di quella italiana. Inoltre, come succede in Russia, Cina e altri paesi in cui la democrazia è più debole, i governi possono decidere con una particolare agilità cosa comunicare e cosa no.

In America Latina la diffusione del contagio è particolarmente critica perché trova sistemi sanitari del tutto impreparati. Sempre in Messico, una delle nazioni economicamente sviluppate del continente, l’investimento nel settore della salute è appena il 3% del Pil, mentre in Italia la percentuale è del 7%. Nello Stato centro-americano il presidente Andrés Manuel López Obrador ha violato le disposizioni anti-coronavirus per incontrare la 92enne madre di Joaquín “El Chapo” Guzmán, boss del narcotraffico, racconta il Los Angeles Times. In media nel continente latinoamericano vengono destinati alla sanità 949 dollari per abitante, un quarto di quello che viene investito nei paesi Ocse e addirittura meno della media dei paesi medio orientali e del nord Africa, come evidenziato dall’Instituto de Estudos para Politicas de Saude (Ieps).

Fragili, sempre di più

Oggi nella stragrande maggioranza dei paesi del continente restare a casa è un privilegio

L’emergenza sanitaria ha evidenziato la vulnerabilità di ampi strati della popolazione. Molti governi stanno raccomandando di restare a casa, ma la prescrizione non è realizzabile  per chi non percepisce lo stipendio se non va a lavorare. È molto difficile stimare quante persone non possano sospendere, anche per un breve periodo, il proprio lavoro: di certo la maggioranza. Un’attivista colombiana, sorella di una vittima di desaparición forzada ("sparizioni" realizzate in modo arbitrario da funzionari dello Stato o da persone in combutta con questi ultimi, ndr), racconta che "a un pranzo in famiglia, delle otto persone adulte presenti, ci siamo accorti che solo io e un’altra familiare abbiamo potuto interrompere il nostro lavoro, mentre gli altri sono obbligati a lavorare".

L’invito a restare a casa è una raccomandazione, ma non un obbligo passibile di sanzione qualora non rispettato, come avviene nel nostro paese. Ecco perché il virus rischia di ampliare il divario sociale ed economico e di aumentare la conflittualità sociale. Oggi nella stragrande maggioranza dei paesi del continente restare a casa è un privilegio. Chi dispone di tale privilegio, lo sfrutta e si protegge dal contagio, chi invece non lo ha è costretto a correre il rischio di ammalarsi. Chi lavora nelle grandi periferie suburbane, nelle favelas dove risiedono i più poveri, rileva un altro aspetto: è molto difficile restare in casa se fai parte di una famiglia numerosa che vive in una baracca di trenta metri quadrati senza elettricità o acqua corrente. E nelle favelas brasiliane le gang impongono il coprifuoco, racconta The Guardian.

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Nel Brasile di Bolsonaro

Gran parte dei mezzi di comunicazione hanno diffuso il panico, mettendo in evidenzia il gran numero di morti in Italia, un paese con una gran quantità di anziani e con un clima totalmente differente dal nostroJair Bolsonaro - Presidente del Brasile

La situazione più preoccupante è quella del Brasile, dove si registra il maggior numero di contagi ed esiste uno dei sistemi di salute pubblica più deboli del continente, a cui non hanno accesso milioni di persone in povertà estrema. Peraltro la linea scelta dal presidente Jair Bolsonaro è di esplicita sottovalutazione. Per Bolsonaro il Covid è poco più di un’influenza e in Italia si muore di più perché è "un paese con una gran quantità di anziani e con un clima totalmente differente dal nostro". Alfredo Dorea, della Instituição beneficente Conceição Macedo (Ibcm) spiega che il governo locale di Salvador de Bahia aveva decretato misure di emergenza e chiusura delle attività produttive, ma il governo centrale le ha dichiarate illegittime. La Ibcm a Salvador de Bahia gestisce un centro sociale con una scuola materna e servizio di mensa per circa 70 bambini (molti dei quali affetti da Hiv). Per ragioni di sicurezza la mensa è stata chiusa e le famiglie dei bambini ricevono a casa cibo e altri generi di prima necessità. Tuttavia la situazione dei piccoli, che al centro ricevono cinque pasti al giorno, è adesso molto peggiorata.

Statistic: Number of confirmed cases of novel coronavirus (COVID-19) in Latin America and the Caribbean as of April 1, 2020, by country | Statista
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Misure autoritarie e repressive

In molti paesi il coronavirus rappresenta il pretesto ideale per aumentare il controllo sociale e la repressione e per permettere ai governi di agire al di fuori dei limiti costituzionali. Ad esempio El Salvador è stato fra i primi a dichiarare lo stato di emergenza nazionale, che attribuisce al presidente poteri speciali e la facoltà di prendere decisioni senza l’avallo del Congresso. Claudia Castro, fondatrice dell’impresa sociale Supérate y Crece, spiega che non ci sarebbe da allarmarsi se non fosse che meno di due mesi fa (10 febbraio), il presidente Nayib Bukele, accompagnato dai militari dell’esercito, aveva fatto irruzione nel Congresso della Nazione riunito in sessione plenaria, reo a suo dire di non voler approvare uno stanziamento straordinario da lui richiesto, per porre in essere non meglio precisate misure di contrasto alla delinquenza organizzata. Bukele ha deciso di erogare un assegno di 300 dollari a tutti i lavoratori del settore informale, ma così facendo migliaia di persone sono scese in strada formando file lunghe senza nessun tipo di protezione personale. È successo così anche ad Ahuachapán, a circa un'ora e mezza dalla capitale, come si vede nel video sotto.

Grande preoccupazione per le popolazioni indigene, i cui diritti sono spesso violati per soddisfare i grandi interessi economici legati alle materie prime. Molti esperti le considerano più esposte al virus per la mancanza di cibo e servizi sanitari adeguati

In Perù è stato decretato il coprifuoco dalle 8 di sera alle 5 di mattina. Di notte ci sono ronde di militari che intimano alla popolazione di mantenere chiuse le finestre, dichiarando a suon di urla di essere armati e autorizzati all’uso della forza, aspetto che chiariscono sparando in aria ripetute raffiche di mitra. Belén Molina, attivista di Cusco, racconta che sabato 28 marzo il governo ha approvato un decreto ribattezzato “legge del grilletto facile” con il quale si sollevano da responsabilità penale i militari e gli agenti della polizia che provochino lesioni o morte. Sulla rete girano filmati come quello che segue.

In Colombia, racconta Maria Cardona Mejia, del Comitato permanente para los derechos humanos (Cdph), stanno aumentando le aggressioni contro i leader sociali e comunitari (oltre 50 omicidi dall’inizio del 2020) e gravi violazioni dei diritti umani nelle carceri. Nelle scorse settimane gli "squadroni della morte", gruppi paramilitari, hanno approfittato della quarantena per ammazzare alcuni attivisti sociali, ostacoli per le loro imprese illegali, si legge su The Guardian: "Sanno che le nostre guardie del corpo, la polizia e la giustizia, sono meno efficaci del solito", racconta Carlos Paez, un militante per i diritti umani e fondatore dell'organizzazione Tierra y Paz.

Dall’EcuadorAndrés Tapia dell’organizzazione Cofeniae riferisce della grande preoccupazione per le popolazioni indigene, i cui diritti sono spesso violati per soddisfare i grandi interessi economici legati alle materie prime. Molti esperti le considerano più esposte al virus per la mancanza di cibo e servizi sanitari adeguati, associata alle varie patologie di cui soffrono cronicamente come anemia, diabete, dengue e zika (leggi l'articolo di Avvenire sugli indios dell'Amazzonia). Infine, Luisa Molina dell’organizzazione Coordinadora Civil ci spiega che in Nicaragua il regime sandinista sfrutta l’emergenza Covid-19 per aumentare il proprio consenso, diffondendo dati sul contagio non attendibili e organizzando, contrariamente da quello che stanno facendo tutte le altre nazioni, grandi manifestazioni popolari: il 15 marzo la vicepresidente Rosario Murillo (moglie del presidente Daniel Ortega) ha promosso un corteo, "Amor en tiempos del covid-19", a Managua per dare il benvenuto al virus nel libero Stato del Nicaragua ed esprimere solidarietà al mondo intero (leggi su El Paìs).

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La risposta della società civile

Anche in America Latina, associazioni e reti della società civile costituiscono un baluardo contro le disuguaglianze. Dal Perù all’Argentina, dalla Colombia al Messico, donne e uomini si organizzano per produrre in laboratori di fortuna le mascherine che i governi hanno requisito e non si trovano più in commercio, se non a prezzi esorbitanti. Si stanno predisponendo raccolte e distribuzione di generi alimentari e servizi di assistenza sanitaria per famiglie povere e senzatetto, mentre le organizzazioni che difendono i diritti delle popolazioni native hanno lanciato campagne di comunicazione attraverso le radio comunitarie, traducendo nelle lingue indigene le precauzioni necessarie per evitare il contagio.

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