I volontari dell'associazione Linea d'Ombra a Trieste. Credits: Linea d'Ombra
I volontari dell'associazione Linea d'Ombra a Trieste. Credits: Linea d'Ombra

Stop ai volontari che aiutano i migranti: "Eliminato l'unico aiuto in strada"

Succede a Trieste, dove la pandemia non ha fermato gli arrivi, ma l'attività dell'associazione Linea d'Ombra è stata sospesa. Mentre da Roma a Reggio Calabria le associazioni denunciano la carenza di risposte istituzionali e gravi rischi per tutti

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

3 aprile 2020

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Arrivano stanchi, denutriti, con i piedi feriti e a volte i segni delle violenze subite sul corpo. Il coronavirus non ferma i migranti sulla rotta balcanica che in questi giorni stanno continuando ad arrivare a Trieste. Ma i volontari dell'associazione Linea d'Ombra non possono più bendarli, fornirgli mascherine, vestiti e informazioni, come hanno fatto fino alla scorsa settimana. "La protezione civile ha tolto il permesso verbale che ci aveva accordato", racconta al telefono Gian Andrea Franchi, 83 anni, co-fondatore dell'associazione insieme alla moglie Lorena Fornasir, 67enne, a cui oggi si affiancano una ventina di persone. "Eravamo gli unici a fornire supporto a queste persone. Gente che non ha un posto in cui dormire, si trova in cattive condizioni psicofisiche e senza cibo né acqua".

La storia dell'associazione Linea d'Ombra è uno dei venti esempi di solidarietà che abbiamo raccontato nei giorni scorsi.

Stando a quanto denunciato, la ragione della sospensione è l'apertura di un nuovo dormitorio destinato ai senzatetto per far fronte all'emergenza coronavirus. "Ma la struttura non riesce ad assorbire il flusso dei migranti visto che gli arrivi, seppur in misura ridotta, proseguono — dice Franchi —. La scorsa settimana, prima di interrompere le attività, siamo venuti a contatto con circa cento nuove persone, tra cui una famiglia siriana in fuga dalla guerra: una dottoressa, suo marito e il fratello". Del resto, la situazione sulla rotta balcanica continua a essere critica dopo quanto accaduto lo scorso 28 febbraio, quando il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan ha annunciato di aver aperto i confini del paese ai migranti intenzionati a raggiungere l’Europa. La scelta ha determinato la partenza di migliaia di persone che hanno cercato di entrare in territorio greco.

Un flusso rallentato solo nelle ultime settimane a causa dell'emergenza coronavirus, anche se il 27 marzo il ministro dell'Interno della Turchia Suleyman Soylu ha comunicato che le autorità turche hanno sfollato migliaia di migranti accampati alle frontiere con la Grecia. Amnesty International ha confermato le violenze lungo il confine terrestre tra Grecia e Turchia e l'uccisione di due uomini, avvenute rispettivamente il 2 e il 4 marzo. Mentre una donna siriana è scomparsa ed è probabilmente morta dopo che lei e il marito erano stati divisi dai sei figli mentre cercavano di attraversare il fiume Evros (Meriç in turco), a sud di Edirne.

"Un rischio per la salute pubblica"

"Si trovano ogni giorno tra le cinquanta e le cento persone. Non hanno un tetto, non hanno cibo, né acqua per potersi lavare"Gian Andrea Franchi - volontario dell'associazione Linea d'Ombra

"Da alcune settimane, i migranti che riescono ad arrivare a Trieste, in gran parte intenzionati a raggiungere la Francia, la Germania, il nord Europa, sono bloccati in città a causa delle disposizioni per arginare la diffusione del contagio da Covid19", hanno scritto Gian Andrea e Lorena in un comunicato stampa. "Si trovano ogni giorno tra le cinquanta e le cento persone. Non hanno un tetto, non hanno cibo, né acqua per potersi lavare. Se una parte di loro troverà accoglienza, un’altra parte rimarrà certamente fuori, sprovvista di tutto, cercando di non farsi vedere per non esser rintracciata e deportata da qualche parte. Si tratta di un palese rischio per la salute pubblica, completamente ignorato dalle istituzioni competenti. Gli unici a colmare in parte questo vuoto di assistenza sono stati volontarie e volontari della nostra associazione che, insieme a medici e infermieri della associazione Don Kisciotte, hanno continuato ad operare in questi giorni. Ogni giorno sono state distribuite dalle 60 alle 100 razioni di cibo, nonché vestiti e medicazioni".

Piedi dei migranti fasciati dai volontari a Trieste. Credits: Linea d'Ombra
Piedi dei migranti fasciati dai volontari a Trieste. Credits: Linea d'Ombra

Poi per loro lo stop. I due — lei psicoterapeuta, lui professore di filosofia in pensione —  hanno iniziato a occuparsi dei migranti in arrivo dalla rotta balcanica nel 2018: "Ci siamo accorti subito di essere di fronte a una migrazione diversa da quella a cui eravamo abituati — spiega Franchi —: non arrivavano più solo persone in cerca di un lavoro, ma in fuga da guerre e condizioni di vita impossibili. Alcuni di loro erano stati torturati dalla polizia durante il tragitto". Al lavoro su strada, Gian Andrea e Lorena hanno affiancato le raccolte fondi e la collaborazione con gli operatori umanitari in Bosnia. L'ultimo viaggio a fine febbraio, poco prima della chiusura delle frontiere: "In queste ore stiamo continuando a distanza la cooperazione con gli operatori umanitari. Ma vorremmo tornare su strada quanto prima: è molto più pericolosa la presenza di persone vulnerabili che la nostra. Intanto, chiediamo alle istituzioni di predisporre un piano per dare un'adeguata risposta a chi è rimasto in città senza un tetto e senza assistenza".

A Roma istituzioni assenti

"Siamo noi a distribuire cibo, guanti, mascherine e gel disinfettante. Le istituzioni sono assenti"Andrea Costa - Baobab Experience

Stanno, invece, continuando la loro attività i volontari dell'associazione Baobab Experience di Roma, a cui nei giorni scorsi si sono affiancati molti cittadini della Capitale. Ma "la situazione rimane tragica — ammonisce Andrea Costa —. Ogni giorno segnaliamo alle autorità la presenza di assembramenti all'interno della stazione Tiburtina, dove sono presenti anche diversi bambini. Chiediamo strutture di accoglienza e l'allestimento di tende, ma nessuno interviene. Siamo noi a distribuire cibo, guanti, mascherine e gel disinfettante. Le istituzioni sono assenti, non hanno neanche fornito un'informativa, tradotta in varie lingue, delle norme che è necessario seguire. Preoccupante perché un contagio qui sarebbe difficile da gestire, nonché pericoloso non solo per i migranti, ma anche per le persone che ruotano intorno a questi luoghi, e per noi volontari. Stiamo valutando di scrivere al ministro della Salute, Roberto Speranza, nelle prossime ore". 

La situazione dei migranti è critica nei Cas e nei Cpr, dove sono stati segnalati i primi contagi.

I migranti nella stazione Tiburtina. Credits: Baobab Experience
I migranti nella stazione Tiburtina. Credits: Baobab Experience

Braccianti senza tutele

Un altro fronte è quello dei braccianti impiegati nelle campagne d'Italia, spesso irregolari "anche per via del decreto Salvini che ha abrogato la possibilità di chiedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari", ha spiegato Lorenzo Trucco, presidente dell'Asgi, l'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione. Un paradosso visto che in questo momento "il settore agricolo sta continuando a funzionare ed è considerato essenziale in quanto ci permette di avere il cibo in tavola". Nei giorni scorsi molte associazioni, tra cui Libera, hanno chiesto al Governo di seguire l'esempio del Portogallo, dove l'ultimo consiglio dei ministri ha stabilito la regolarizzazione degli stranieri che hanno presentato richiesta di soggiorno per la durata dell'emergenza coronavirus: saranno trattati come cittadini portoghesi e potranno beneficiare dei loro stessi diritti. Ma al momento rimane tutto in sospeso.

Particolarmente tesa la situazione nella tendopoli di San Ferdinando, nella Piana di Gioia Tauro (Reggio Calabria), che nei giorni scorsi è stata agitata dalle proteste di una ventina degli oltre 500 braccianti che lì sono costretti a vivere. “Quella degli insediamenti informali rappresenta una popolazione ad alto rischio", in quanto non può seguire “le misure basilari per la prevenzione del contagio, prima tra tutte il lavaggio di mani e abiti”, ha denunciato Mediterranean Hope, il programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche. “I braccianti si trovano a convivere in gran numero in spazi angusti, privi di validi sistemi di riscaldamento e di aerazione”. Qui un contagio “sarebbe difficilmente controllabile e impossibile da gestire da parte del servizio sanitario locale”. Inoltre, prosegue Mediterranean Hope, la Regione "per l’ennesima volta dimentica che non si tratta di mendicanti ma di lavoratori di norma sfruttati e che a causa dell’attuale emergenza si vedono negata la possibilità di recarsi sul luogo di lavoro poiché sprovvisti di un regolare contratto”.

lavialibera sta raccontando l'emergenza coronavirus guardando alla moltitudine di fragilità che l’epidemia ha messo a nudo. Puoi leggere tutti i nostri articoli qui.

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