Lo striscione appeso da Carlo Cappelli ad Arquata del Tronto (da Facebook)
Lo striscione appeso da Carlo Cappelli ad Arquata del Tronto (da Facebook)

Il coronavirus nei borghi del sisma del Centro Italia: "Qui non ci rialziamo più"

#iorestoacasa è uno slogan amaro per chi ha perso la sua abitazione. Nel cratere sismico la popolazione indebolita dai terremoti tenta di reagire alla nuova emergenza, che però ferma la ricostruzione

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

30 marzo 2020

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Stare in casa durante l’emergenza coronavirus non è facile, soprattutto se è piccolissima o è un container. Lo slogan #iorestoacasa è amaro per chi l'ha persa. “Non resto a casa dal 24 08 16”, è scritto su uno striscione appeso su un edificio pericolante di Arquata del Tronto (Ascoli Piceno), uno dei paesi più colpiti dalla serie di terremoti nel Centro Italia dal 24 agosto 2016 in avanti. Lo ha appeso un abitante, Carlo Cappelli, quando si è diffusa la direttiva di restare nelle proprie abitazioni. Nel cratere sismico tra Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria, dove le scosse tra 2016 e 2017 hanno fatto circa trecento morti e 40mila sfollati, la terra trema ancora. E nevica.
#iorestoinsae è l’hashtag creato da Elena Pascolini, abitante di Arquata, per raccontare su Facebook la sua vita nelle soluzioni abitative emergenziali (Sae), le cosiddette casette, prefabbricati montati nei mesi dopo il sisma. Per qualcuno a Tolentino (Macerata), va anche peggio. A distanza di oltre tre anni più di duecento persone abitano i container con bagni e mensa in comune. All’emergenza abitativa, quindi, si aggiunge quella da Covid, capace anche di bloccare i pochi cantieri della ricostruzione.

#IorestoinSae

Borgo 1, complesso di soluzioni abitative emergenziali, ad Arquata del Tronto
Borgo 1, complesso di soluzioni abitative emergenziali, ad Arquata del Tronto
Tremo al pensiero di un positivo in un aggregato di Sae. Potete immaginare cosa può accadereItalo Paolini - Medico di Arquata del Tronto

“Si sta tutti vicini e non si esce più, sebbene qui ci siano spazi sconfinati. Siamo dentro un pollaio”. Elena Pascolini abita nel “Borgo 1” di Arquata del Tronto, il più grande dei sette agglomerati Sae del paese. Le casette per quattro persone come la sua hanno una superficie di 60 metri quadri, due camere da letto, un bagno e una sala-cucina. Per le persone sole o le coppie, invece, sono di 40 metri quadri: “Se in una famiglia qualcuno si infetta, la vita diventa impossibile. Non c’è spazio e gli ambienti sono divisi male”, dice. “Io tremo al pensiero di un positivo in un aggregato di Sae. Potete immaginare cosa può accadere? – afferma Italo Paolini, medico di Arquata –. Per evitare di fare uscire i pazienti ho sviluppato tantissimo i contatti telefonici e i video consulti. Ho spiegato quali dati fornirmi, mando le ricette mediche in farmacia o in formato digitale. C’è un ottimo servizio di distribuzione dei farmaci”. Gli anziani non escono più dalle loro minuscole Sae: “Sono completamente reclusi, stanno davanti alla tv, accesa da mattina a sera, e subiscono la comunicazione aggressiva”, racconta Pascolini.

Questo coronavirus è l’ennesima batosta. La specie umana sa adattarsi. Ma se le batoste sono frequenti, non ci si rialza piùElena Pascolini - Abitante di Arquata del Tronto

Lei e il compagno prima del sisma avevano una panetteria. Dopo le scosse sono rimasti ad Arquata del Tronto e, col tempo, hanno avviato un progetto di turismo ecosostenibile, “lento, buono e genuino”, per mettere in rete altre attività locali. “Da tre anni lavoriamo per aprire un rifugio sui Monti Sibillini e paghiamo un affitto a un privato. Ora con l’emergenza temo di non poter aprire. Ci sarà una strage di piccole attività”. Se le ordinanze hanno costretto negozi, bar e ristoranti a fermarsi, ad Arquata non ce n’era bisogno: “Era già tutto chiuso. Non hanno più aperto”. L’emergenza Covid ha fermato anche i cantieri per la ricostruzione post-sismica sebbene ad Arquata del Tronto non ce ne siano molti. “Dobbiamo ancora combattere con le macerie. Di ricostruzione si parla e basta. Alcuni progetti sono stati approvati, ma se non arrivano i soldi dallo Stato, le ditte non cominciano i lavori”. Sono poche le case ricostruite: “Sono singole case isolate dai borghi. Così la comunità non si ricreerà”. Niente case, niente negozi, niente ritrovi e svaghi. La sua analisi è amara: “Questo coronavirus è l’ennesima batosta. La specie umana sa adattarsi, a ogni botta noi recuperiamo un equilibrio. Ma se le batoste sono frequenti, non ci si rialza più. Per questo mi sarei aspettata un occhio di riguardo verso di noi”.

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Il ghetto di Tolentino

I container di Tolentino
I container di Tolentino

Tra la costa e i monti c’è una città di ventimila abitanti che è Tolentino. Qui non ci sono Sae. L’amministrazione del sindaco Giuseppe Pezzanesi aveva fatto una scelta diversa: “È l’unico comune senza casette”, spiega Flavia Giombetti, presidente del Comitato 30 Ottobre (giorno della scossa più forte). Il Comune aveva deciso di avviare la costruzione di appartamenti, un’opera molto costosa, in un ex capannone. Non sarebbero state necessarie Sae, per un certo periodo bastavano dei container, dove tutt'oggi vivono circa 230 persone vivono in condizioni molto precarie perché la ricostruzione è ferma:  sono soprattutto anziani soli, famiglie povere e migranti. “Sono costretti a condividere i bagni, le docce e la mensa – dice Giombetti –. Ora l’area è stata anche chiusa con una rete”. Recintando l’area e creando un varco d’accesso controllato dalle forze dell’ordine il sindaco vorrebbe migliorare i controlli. Dissente il comitato: “Non è così che si risolve la situazione. Ci sono già stati alcuni casi di tubercolosi e scabbia. Se dovesse succedere qualcosa la situazione esplode”. “Se entra il virus lì dentro, fa una strage”, aggiunge Marco Fars, cofondatore delle Brigate di solidarietà attiva, un gruppo di volontari nato in occasione del terremoto all’Aquila nel 2009 e da allora impegnato su diversi fronti.

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Emergency resta, si fermano le Brigate di solidarietà attiva

Emergency all'opera nelle zone terremotate
Emergency all'opera nelle zone terremotate

Il Covid-19 ha fermato pure alcune iniziative solidali, mentre proseguono quelle a carattere sanitario. Le Brigate di solidarietà attiva, ad esempio, hanno deciso di interrompere i loro spostamenti in questo periodo. “I nostri volontari non possono muoversi – spiega Fars –, ma cerchiamo di mantenere i contatti con tutte le realtà che continuiamo a seguire”. Emergency, che nel 2018 ha avviato il Progetto Sisma, mantiene le sue attività nonostante l’emergenza coronavirus abbia aperto nuovi fronti. “Siamo a Pieve Torina, Caldarola, Ussita e Castelsantangelo sul Nera perché riusciamo a garantire l’accesso dopo un triage, controllo della febbre e lavaggio delle mani – spiega Giovanna Bianco, psicologa e referente del progetto per l’area marchigiana –. A Camerino, Muccia, Visso e Tolentino invece facciamo assistenza telefonica”. Quale psicoterapeuta e responsabile del progetto in quest’area, Bianco ha il polso della situazione: “Siamo in pieno ‘Cigno nero’ (un evento disastroso e imprevedibile, ndr) che segue terremoti e maltempo. Le istituzioni sono state molte reattive e la popolazione è diligente”, è la premessa. Bianco ha individuato tre tipi di reazioni degli abitanti: “Alcuni hanno già elaborato gli eventi sismici e hanno attivato alcuni meccanismi di reazione attingendo dalla proprie risorse interne, familiari e sociali, così riescono a trainare – dice –. Ci sono poi casi di persone con percorsi di elaborazione ancora in corso oppure quelle che fino a questo momento erano state capaci di farsi forza da sé. Ora chiedono aiuto: per loro è come una ferita non rimarginata, si rendono conto di perdere l’equilibrio e sono in grado di chiedere un sostegno. Infine ci sono quelli che in questo momento sentono una nuova ‘comunione’ con le altre persone, come se chi sta affrontando l’emergenza coronavirus possa comprendere il senso di isolamento, desertificazione e silenzio dei terremotati”. In definitiva, “la popolazione è in grado di resistere a questo evento”. Tuttavia in agguato c’è un fatto che può alimentare la sfiducia: “I cantiere sono stati bloccati, le pratiche sono ferme e molte persone sono preoccupate. Si ferma quell’indotto economico che permetteva ad alcune ditte del cratere e ad altre attività di proseguire”.

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La ricostruzione

Camerino (Mc): "Abbiamo avuto le case, abbiamo perso il paese" (Giambartolomei)
Camerino (Mc): "Abbiamo avuto le case, abbiamo perso il paese" (Giambartolomei)

Una lentezza esasperante che rischia di (...) irrobustire improprie prassi di veri e propri abusi, pratiche clientelari e/o corruttiveAlberto Avoli - Procuratore generale Corte dei conti

Lo scorso 25 marzo il governo ha sospeso tutti i cantieri, pubblici e privati, della ricostruzione, di cui si occupa il commissario straordinario Giovanni Legnini. In totale sono 138 i comuni dentro il cratere sismico (85 di questi nelle Marche), per un totale di 582mila residenti (al 31 luglio 2016). Quattro le regioni coinvolte, ciascuna dotata del proprio Ufficio speciale per la ricostruzione, e poi la struttura del commissario del governo. A rallentare sono soprattutto la burocrazia, la mancanza di personale nelle amministrazioni e le macerie. La ricostruzione privata va a rilento e ancora più lenta è quella delle opere pubbliche. A fine gennaio, illustrava l’allora commissario Piero Farabollini, “i dati forniti da Abruzzo, Marche, Umbria e Lazio mostrano che sono 184 i progetti esecutivi ultimati su 1079 interventi previsti”. Da questi progetti erano nati soltanto 156 cantieri. “Per oltre il 60% degli interventi (650) deve ancora essere avviata la procedura di gara per l’affidamento della progettazione”, diceva.

Le lungaggini alimentano l’illegalità, sottolineava il procuratore generale della Corte dei conti Alberto Avoli il 13 febbraio: “Sta prendendo sempre più vigore il filone investigativo riguardante l’utilizzo delle ingenti risorse stanziate per la ricostruzione delle aree dell’Italia centrale – diceva -. Una ricostruzione che procede con una lentezza esasperante che rischia di rendere irreversibile la sofferenza del tessuto economico e sociale e, per paradossale altro verso, irrobustire improprie prassi di veri e propri abusi, quando non anche di pratiche clientelari e/o corruttive”.

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