La proteste degli ambientalisti davanti all'Ambasciata italiana di Tunisi il 1° aprile scorso per chiedere il ritorno in Italia dei rifiuti portati a Sousse Foto Epa/Mohamed Messara
La proteste degli ambientalisti davanti all'Ambasciata italiana di Tunisi il 1° aprile scorso per chiedere il ritorno in Italia dei rifiuti portati a Sousse Foto Epa/Mohamed Messara

Rifiuti campani in Tunisia, anche l'Ue vuole vederci chiaro

La Commissione europea chiede delucidazioni al ministero della Transizione ecologica e alla Regione Campania sui carichi fermi al porto di Sousse. Il Consiglio di Stato rigetta il ricorso dell'esportatrice, che potrebbe dover rimpatriare i container di immondizia

Daniela De Crescenzo

Daniela De CrescenzoGiornalista

3 agosto 2021

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Sul caso dei rifiuti campani esportati in Tunisia, anche l’Europa vuole vederci chiaro. La vicenda dei 282 container bloccati al porto di Sousse potrebbe pesare sulla procedura di infrazione della Regione Campania per l’emergenza rifiuti e sulla sanzione da pagare all’Unione europea per il mancato rispetto delle disposizioni comunitarie. In uno scambio di informazioni tra l’Italia e la Commissione europea, volto a ridurre l’importo, i funzionari di Bruxelles affermano di essere “stati informati di un possibile traffico illecito di rifiuti tra la Campania e la Tunisia” in merito alla vicenda delle 7.900 tonnellate di rifiuti fermi al porto di Sousse e chiedono chiarimenti. Nel frattempo il 26 luglio scorso il Consiglio di Stato, massimo organo della giustizia amministrativa, ha respinto il ricorso dell’azienda esportatrice Sviluppo risorse ambientali (Sra), che adesso potrebbe essere obbligata a far rientrare a proprie spese i container, come chiesto dalla Regione Campania nel dicembre 2020.

Contro questo provvedimento l’impresa aveva fatto ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Campania, che però si era dichiarato incompetente a intervenire per modificare la decisione delle autorità tunisine di respingere i 212 container arrivati dall’Italia. La Tunisia non accetta i contenitori carichi di spazzatura contrassegnata con il codice 191212, quello dei rifiuti speciali non pericolosi, perché in realtà conterrebbero rifiuti indifferenziati, che non possono in nessun modo essere riciclati. La vicenda, dunque, continua a complicarsi mentre a Sousse, vicino al porto dove restano i container di immondizia, continuano le manifestazioni di protesta.

I rifiuti campani scuotono il governo tunisino

L'export dei rifiuti Made in Campania

La Commissione vuole sapere “di che tipo di rifiuti si tratti, quale sia la loro origine e se le autorità italiane abbiano rilasciato un’autorizzazione all’esportazione”

Il dato è che i rifiuti made in Campania continuano a circolare per mezzo mondo. Il 16 luglio 2015 la Campania è stata condannata a pagare alla Ue 20 milioni di euro più 120 mila euro per ogni giorno di mancato completamento del ciclo dei rifiuti. Così quando la Tunisia ha avviato un’indagine sui container arrivati dall’Italia, la Commissione europea ha chiesto al ministero della Transizione ecologica e alla Regione Campania di sapere “di che tipo di rifiuti si tratti, quale sia la loro origine e se le autorità italiane abbiano rilasciato un’autorizzazione all’esportazione”. Nella sua risposta la Regione ha spiegato di aver autorizzato i viaggi basandosi su di una documentazione risultata falsa. È un altro tassello di una vicenda intricata che vede in campo due ministeri dell’ambiente, quello italiano e quello tunisino, la magistratura del Paese d’oltremare e quelle di Salerno e Vallo della Lucania, la regione Campania e molti comitati di protesta che si stanno mobilitando in particolare a Sousse, dove restano i rifiuti.

La Sra srl di Polla avrebbe dovuto spedire 12mila tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi alla Soreplast Suaral di Sousse, che avrebbe dovuto provvedere al loro riciclo. I primi settanta container sono stati fatti sbarcare regolarmente nel porto di Sousse, ma il secondo carico è stato bloccato. I giornalisti della trasmissione televisiva tunisina “Les 4 veritès” hanno filmato i rifiuti fermi in porto e le immagini trasmesse in tv mostrano container semi-aperti contenenti spazzatura di tutti i tipi, ben diversa da quelli scarti che potrebbero essere riciclati. I legali dell’azienda salernitana, Giorgio e Francesco Avagliano, fanno notare che non ci sono mai state le perizie che avrebbero dovuto svolgersi alla presenza dei legali e dei tecnici nominati dall’azienda. In ogni caso le immagini sono state dirompenti e hanno fatto scattare indagini che hanno portato all’arresto del ministro dell’ambiente  Moustafà Aroui, e di altre dodici persone mentre altre undici sono finite sotto inchiesta mentre il proprietario della Soreplast si è dato alla fuga.

Il pasticcio delle comunicazioni

Secondo le autorità tunisine le autorizzazioni ai viaggi sono state chieste e concesse da un’autorità senza competenze per agire, Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti (Anged). La Regione Campania aveva chiesto al Consolato tunisino di Napoli se si trattasse dell’autorità corretta a cui indirizzare la documentazione per autorizzare il trasporto e ha ricevuto un’indicazione che, per lo Stato nordafricano, sarebbe sbagliata. E infatti nelle indagini che si svolgono a Tunisi è stato coinvolto anche il console. In realtà Regione e ministero avrebbero dovuto rivolgersi al focal point (i rappresentanti della Convenzione di Basilea istituiti nei ministeri per l’Ambiente), ma non è andata così ed è stato creato un enorme pasticcio.

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“Non permetteremo che chiuda un’azienda che raccoglie i rifiuti in trenta Comuni e dà lavoro a duecento persone”Giorgio e Francesco Avagliano - Avvocati dell Sra

Infatti nella relazione inviata al ministero per rispondere alle richieste Ue, Palazzo Santa Lucia spiega che dopo l’avvio delle inchieste, la Tunisia ha comunicato che l’impianto di destinazione Soreplast Suarl non dispone delle attrezzature necessarie per smistare e riciclare i rifiuti e che le autorizzazioni inviate all’Italia sono in realtà dei falsi. Quindi da Sousse chiedono il rimpatrio dei container che continuano a infestare il porto. La Regione Campania, che aveva autorizzato i viaggi, già a dicembre del 2020 aveva concesso trenta giorni all’azienda del salernitano per provvedere al rimpatrio dei container, trascorsi i quali ha attivato una procedura in danno rivalendosi sull’azienda che aveva depositato una fideussione di 3 milioni e seicentomila euro. I legali dell’impresa Giorgio e Francesco Avagliano hanno presentato una pioggia di ricorsi. L’ultimo è stato respinto dal Consiglio di Stato, ma gli avvocati si dicono pronti a dare ancora battaglia. “Non permetteremo che chiuda un’azienda che raccoglie i rifiuti in trenta Comuni e dà lavoro a duecento persone”, spiegano. E i rifiuti restano a Sousse.

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