NextGeneration cosa? Si risponde al vuoto con la competizione

I Piani europei di ripartenza post covid sono pieni di buoni propositi sulle nuove generazioni. Ma davvero bastano più istruzione e lavoro per riempire il vuoto di senso di un'adolescenza sempre più aggressiva e ansiosa?

Elena Ciccarello

Elena CiccarelloDirettrice responsabile lavialibera

21 luglio 2021

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L’Europa ha battezzato NextGenerationEu il piano di investimenti da oltre 800 miliardi di euro che servirà a far ripartire il vecchio continente dopo la pandemia. La scelta del nome ammicca alla speranza, al domani, alla costruzione di un mondo nuovo e diverso. Tutti i piani nazionali, compreso quello italiano, prevedono obbligatoriamente la voce "politiche per le nuove generazioni, infanzia e giovani" tra le sei aree di intervento programmate. Le parole chiave utilizzate nei documenti ufficiali sono istruzione, competenze (digitali), lavoro. È prevista e pianificata una batteria di interventi per eliminare le disuguaglianze alla nascita e permettere a chiunque di competere nella vita ad armi pari. Sacrosanto, si dirà. Eppure, competere, superare gli altri, affermarsi: è davvero solo questo il destino che auguriamo alle nuove generazioni? Il domani diverso che promettiamo di costruire? Ciò che la pandemia ci ha insegnato, che loro chiedono e di cui tutti abbiamo bisogno?

Alle nuove generazioni promettiamo solo di allontanare i tempi del disastro ecologico e di continuare a vivere l’uno contro l’altro

In Italia durante il lockdown diversi studi hanno testimoniato l’aumento di ansia e aggressività tra gli adolescenti. Lo psicoterapeuta Pasquale Borsellino racconta che, nella sola provincia di Treviso, negli ultimi mesi sono stati registrati tre ricoveri a settimana in pediatria o nel servizio psichiatrico (p. 30). Pensare che sia solo colpa del covid sarebbe autoassolutorio e riduttivo. I segnali del malessere provengono da lontano e hanno origini complesse. Dall’inizio del nuovo secolo l’adolescenza è schiacciata da "un’ansia sociale e un peso psicologico inediti" che amplificano i problemi tipici di quell’età, producendo un forte senso di inadeguatezza e insoddisfazione, come spiega bene lo psicologo Leopoldo Grosso (p. 21). In questo quadro, la violenza verso gli altri e verso se stessi il più delle volte non è che il sintomo di un bisogno, il desiderio di essere visti e di sentirsi vivi. Anche l’uso e l’abuso di droghe, sempre più diffuso, può rientrare in questa dinamica.

Se questo è il quadro, la risposta non può essere solo un appuntamento dal neuropsicologo o una denuncia ai carabinieri. Né può esserlo un’iniezione di denaro pubblico che riproduce, imbellettandolo, lo stesso identico modello di società. Non può esserlo, se ciò che si promette di costruire è un domani diverso e migliore.

Oggi è in aumento il numero di madri che chiede aiuto perché non riesce a gestire l’aggressività dei figli. Mancano fondi, norme e metodi per intervenire quando le famiglie disperate si rivolgono ai servizi sociali. "È un paradosso, ma oggi i ragazzi più fortunati sono quelli che finiscono nei circuiti penali, perché qualcuno si prende cura di loro, mentre gli altri restano soli", è la drammatica denuncia di Salvatore Inguì, direttore dell’ufficio di servizio sociale per minorenni di Palermo. Di tutto questo non c’è traccia nei piani di ripresa e resilienza. E allora di quale futuro stiamo veramente parlando, se alle nuove generazioni promettiamo solo di allontanare i tempi del disastro ecologico e di continuare a vivere l’uno contro l’altro? Se è sdoganato che alla domanda "come ti vedi tra dieci anni?" un giovane trapper oggi possa rispondere, a nome di molti, "o ricco o morto".

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