La scritta "No accordi con la Libia" proiettata sulla facciata della Farnesina. Credits: Sea-Watch/Valerio Muscella
La scritta "No accordi con la Libia" proiettata sulla facciata della Farnesina. Credits: Sea-Watch/Valerio Muscella

Non dobbiamo rifinanziare la Guardia costiera libica

Il 15 luglio la Camera ha votato il rinnovo della missione in Libia, con cui si sostengono documentate violazioni dei diritti umani. Solo alcuni parlamentari, tra cui Magi (+Europa), Orfini (Pd) e Fratoianni (Si), si sono schierati contro

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

Aggiornato il giorno 25 luglio 2021

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Aggiornamento: Il 15 luglio la Camera ha votato sì al rifinanziamento della Guardia costiera libica, con cui si sostengono documentate violazioni dei diritti umani.

L'ultima barbarie che porta la firma della cosiddetta Guardia costiera libica la documenta un video ripreso da Seabird, uno dei due mezzi aerei con cui l'organizzazione non governativa tedesca Sea-Watch pattuglia il Mediterraneo centrale. Nel filmato si vedono gli uomini a bordo della Ras Jadir, una motovedetta donata dall'Italia, prendere di mira una barca piena di migranti nella zona Sar (area di ricerca e soccorso) maltese: sparano, cercano di speronarla, lanciano bastoni e corde per bloccare il motore. Episodio su cui il procuratore aggiunto di Agrigento Luigi Patronaggio ha chiesto alla ministra della Giustizia Marta Cartabia l'autorizzazione per aprire un fascicolo, ipotizzando il reato di "tentata strage". 

Ong e attivisti chiedono l'abolizione di Frontex, accusata di violazioni dei diritti umani, di spese folli, molestie e abusi di potere

È sul rifinanziamento di queste barbarie e il proseguimento delle violenze nei centri di detenzione della Libia, dove vengono rinchiuse le persone catturate in mare dalle autorità di Tripoli, che la Camera è chiamata a votare il prossimo 15 luglio. Un rinnovo contro cui si schierano oltre cento associazioni, come Libera, Gruppo Abele, Mediterranea saving humans e Open arms, che danno appuntamento in piazza Montecitorio il 14 luglio alle 17.

Che cosa prevede il decreto missioni sulla Libia e le responsabilità del Parlamento

Lo stanziamento dei nuovi fondi è contenuto nel decreto missioni che definisce la partecipazione del nostro Paese alle missioni internazionali. La scheda 48 prevede il rinnovo dell'assistenza alle istituzioni libiche che controllano i confini marittimi, con l'obiettivo di prevenire e reprimere i traffici illeciti via mare attraverso l'addestramento del personale e il mantenimento delle navi già donate dal nostro governo. Il costo complessivo stimato è di 10.479.140 euro: 500mila euro in più del 2020. A crescere sono anche i finanziamenti per le missioni Irini e Mare sicuro, che prevedono azioni a sostegno delle forze libiche, e aumentano di circa 15 e 17 milioni di euro rispetto allo scorso anno. Alcuni parlamentari, tra cui Riccardo Magi (+Europa), Matteo Orfini (Pd) e Nicola Fratoianni (Sinistra italiana), chiederanno la votazione per parti separate, cioè di votare il dossier Libia indipendentemente dal resto del decreto missioni, come successo lo scorso anno. Ma sia Magi sia Orfini sia Fratoianni temono che non servirà a molto.

"Non c'è interesse a ripensare una strategia che non ha altro risultato se non favorire la violazione dei diritti umani" Riccardo Magi - +Europa

A opporsi alla proroga sarà una minoranza di deputati e l'intero decreto passerà così com'è al Senato, dove non è ancora stato calendarizzato, dopo essere stato approvato in maniera "frettolosa e pragmatica", denuncia Magi. Brucia ancora quanto successo nel 2020, quando la votazione sugli interventi a Tripoli registrò a Montecitorio appena 23 no e un'astensione, contro i 401 sì. "Negli ultimi anni – spiega Magi a lavialibera – il Parlamento è diventato acritico nei confronti delle scelte fatte dai governi in politica estera, limitandosi a ratificarle. Non c'è interesse a ripensare una strategia che non ha altro risultato se non favorire la violazione dei diritti umani, ponendosi in contrasto non solo con tutte le norme di diritto internazionale ma con la nostra stessa costituzione. Lo trovo disarmante".

La timida presa di posizione del Pd contro il rifinanziamento della Guardia costiera libica 

Anche se nelle scorse ore il Partito democratico ha lanciato qualche (timido) segnale. Il segretario dem Enrico Letta ha chiesto che l'affare libico diventi una questione europea, sottoponendo l'approvazione del decreto a una richiesta: l'addestramento e il supporto della Guardia costiera di Tripoli devono essere affidati all'Ue entro sei mesi. Non si sa ancora come al Nazareno intendano tradurre in pratica il nuovo corso. Per Matteo Orfini in concreto "non cambierà nulla". E al suo partito, di cui è stato segretario dal 2014 al 2017, chiede di non votare la missione. "La Guardia costiera libica è un'associazione a delinquere e l'Italia non può continuare a finanziare e ad addestrare dei delinquenti", dice Orfini a lavialibera, ricordando che lo scorso anno i deputati del Pd a opporsi furono appena nove. Orfini è stato uno dei pochi dem che fin dall'inizio si è schierato contro questa politica, a cui a dare la spinta propulsiva è stato proprio un governo di centro-sinistra.

Le prime fondamenta sono state poggiate da Berlusconi, con il trattato di amicizia siglato nel 2008 insieme a Muammar Gheddafi: un accordo da 5 miliardi di euro con cui l'ex dittatore libico si impegnava a trattenere all'interno dei propri confini migranti e rifugiati, anche imprigionandoli arbitrariamente in massa in sei centri di detenzione costruiti dall'Italia. Ma il memorandum Italia-Libia firmato nel 2017 dall'allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e dall'ex ministro dell'Interno Marco Minniti (oggi presidente di Med-Or, nuova fondazione di Leonardo, azienda attiva nei settori della difesa, dell'aerospazio e della sicurezza che ha per maggiore azionista il ministero dell'Economia e delle finanze), è stato decisivo: ha reso la collaborazione tra il nostro Paese e la Libia strutturale, come suggerisce una denuncia presentata alla Corte penale internazionale dell'Aia da una coppia di avvocati (Omer Shatz e Juan Branco), in cui si chiede che l'Europa e alcuni dei suoi Stati membri (Italia inclusa) siano processati per l'attuazione di politiche migratorie "dirette a sacrificare la vita dei migranti che si trovano in pericolo in mare".

Il costo stimato per il rinnovo della missione in Libia è di 10.479.140 euro: 500mila euro in più del 2020

Da allora l'Italia ha speso oltre 785 milioni di euro per bloccare le partenze dei migranti e finanziare la Guardia costiera libica. Soldi che hanno permesso l'istituzione di una zona Sar di competenza di Tripoli (prima erano gli italiani che si occupavano delle azioni di ricerca e soccorso fino alle acque territoriali libiche), ma non un centro di coordinamento di queste operazioni nel Paese. I migranti catturati in quattro anni sarebbero oltre 50mila. "Quando la strategia è stata elaborata, il consenso all'interno del partito e della sua base elettorale, era larghissimo", ricorda Orfini. Poi la sensibilità è cambiata tanto che a febbraio del 2020 l'assemblea nazionale del Pd approvò all'unanimità un ordine del giorno con cui si impegnava a una revisione "radicale e complessiva" degli accordi con Tripoli.

A luglio dello stesso anno lo stesso partito, però, votò in blocco il rifinanziamento della missione libica. Una situazione paradossale, ammette il deputato, così come paradossali sono le ripetute promesse di riformulazione del memorandum: modifiche annunciate sia dalla ministra dell'Interno Luciana Lamorgese sia dal ministro degli Esteri Luigi di Maio, ma di cui non si è mai vista traccia. Oggi le differenze rispetto a un anno fa sono due. Alla guida del Partito democratico non c'è più Nicola Zingaretti, ma Letta, il premier di Mare nostrum: la missione italiana che stando alle stime ufficiali ha salvato in mare oltre centomila persone. Inoltre, c'è "una maggiore insofferenza verso una scelta che si proponeva di aiutare la Libia nella costituzione del proprio Stato, ma si è rivelata fallimentare da ogni punto di vista. Se prima criticarla era un'eresia, adesso lo stesso ideatore (Marco Minniti, ndr) ha più volte detto che riproporla è sbagliato. Spero che questa maggiore consapevolezza si possa misurare anche in aula", aggiunge l'ex segretario del Pd. 

A crescere sono anche i finanziamenti per le missioni Irini e Mare sicuro, che prevedono azioni a sostegno delle forze libiche, e aumentano di circa 15 e 17 milioni di euro rispetto allo scorso anno

Il peggioramento della situazione a Tripoli

Negli anni molte inchieste giornalistiche nazionali e internazionali hanno documentato la violenza con cui le autorità libiche fermano i migranti nel Mediterraneo centrale. A rischiare sono anche gli italiani. A maggio scorso un'altra motovedetta donata dall'Italia alla Libia ha aperto il fuoco contro i pescherecci Artemide, Aliseo e Nuovo cosimo a 35 miglia nautiche dalle coste di Misurata, in acque internazionali. Un dato di fatto è anche che la cosiddetta guardia costiera di Tripoli sia in realtà composta da milizie armate spesso in lotta tra loro e coinvolte in prima persona nel traffico di esseri umani e nella gestione dei centri di detenzione. All'interno di questi lager, dove vengono riportate le persone catturate, torture e stupri sono quotidianità. Un inferno più volte denunciato, che l'Europa si rifiuta di vedere. In un documento indirizzato alle istituzioni italiane, Action aid, Amnesty international, Human rights watch, e Medici senza frontiere hanno riportato che nei primi mesi del 2021 il numero di migranti richiedenti asilo e rifugiati detenuti arbitrariamente nei centri di detenzione ufficiali della Libia è aumentato costantemente superando quota 5mila a fine maggio, mentre all'inizio dell'anno erano solo duemila. 

Libia, i lager dell'orrore che l'Europa non vuole vedere

Un aumento che, per le associazioni, è correlato al picco di intercettazioni in mare da parte della Guardia costiera libica che ha riguardato quasi 15mila persone in soli sei mesi. Le condizioni di vita in queste strutture, già fatiscenti e inadeguate, sono peggiorate ancora di più: in alcune celle si conterebbero più di tre persone per metro quadro, non arriva abbastanza cibo né acqua, non ci sono bagni per tutti. Ad aprile, una sparatoria nella struttura di Al-Mabani, in cui a febbraio erano stati trasferiti molti migranti riportati in Libia dalla Guardia costiera, ha ucciso un ragazzo e ferito molte altre persone. Ad Abu Salim, dopo un tentativo di fuga, le guardie avrebbero aperto il fuoco. Violenze che a giugno hanno portato Medici senza frontiere ad annunciare la sospensione delle proprie attività nei due centri. 

Gli interessi economici e politici dietro gli accordi con la Libia

Dietro le relazioni diplomatiche intessute tra il governo italiano e quello libico ci sono anche interessi economici. Il Manifesto ha raccontato che l'Italia sarà attiva nella ricostruzione dell'aeroporto di Tripoli e punta ad avere un ruolo anche nel settore sanitario, dov'è tutto da rifare a causa delle guerre che hanno devastato il Paese. C'è poi l'Eni, l'azienda di energia italiana che, come scrive in un comunicato stampa aziendale, "è il primo produttore di gas in Libia e il principale fornitore di gas al mercato locale" e lavorerà sulla transizione energetica. Interessi che a marzo hanno portato Luigi Di Maio a Tripoli per ben due volte. Il ministro degli Esteri si è complimentato per "la lotta ai trafficanti e il presidio delle frontiere marittime" e lo stesso ha fatto Mario Draghi agli inizi di aprile, quando è volato a Tripoli per la sua prima missione all'estero, aggiungendo che l'Italia è uno dei pochi paesi che tiene attivi i canali umanitari, in realtà con la Libia mai avviati.

Gli interessi economici hanno pesato e pesano sulla strategia adottata dall'Italia. Ma, secondo Fratoianni, ancora di più pesa l'incapacità di trattare le migrazioni al di fuori di un'ottica emergenziale. "L'idea che sia un fenomeno temporaneo e straordinario nasce da un clamoroso travisamento della realtà – precisa a lavialibera il deputato di Sinistra italiana –. L'emigrazione è strutturale perché strutturali sono le ragioni che ogni anno spingono centinaia di migliaia di persone alla fuga. Non solo guerre e persecuzioni, ma anche le disparità economiche e sociali, l'ineguale distribuzione delle materie prime e i cambiamenti climatici. I numeri sono gestibili in Europa".

Orfini fa ammenda: "La sinistra si è spaventata della forza che i partiti politici di destra hanno ottenuto cavalcando il tema dell'immigrazione e, anziché fare una battaglia prima culturale e poi politica, ha pensato di cavalcare l'onda cercando di civilizzarla un po'. Il risultato è stato disastroso. Più che una questione economica, è mancata la forza politica". 

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Una politica da ripensare

Per Riccardo Magi la Libia non è l'unico nodo del decreto missioni. "Un'altra missione critica – avverte Magi – è quella nel Sahel (la porzione di territorio africano che si estende tra il deserto del Sahara a nord e la foresta pluviale a Sud, da cui proviene la maggior parte dei migranti che approda nel nostro Paese, ndr), che adotta la stessa strategia di contrasto ai traffici illegali, ma nei fatti rischia di favorire le detenzioni arbitrarie e la violazione dei diritti umani".

Ecco perché andrebbero ripensate le politiche a livello sia europeo sia italiano. "In Europa bisogna perseguire politiche di asilo e accoglienza comuni, superando la resistenza di alcuni Stati, e stringendo accordi più stretti con quelli consapevoli dell'importanza di governare le migrazioni. Il nostro Paese deve creare canali legali per entrare nel nostro territorio, superando la legge Bossi-Fini: un sistema rigido con cui il governo decide quante persone possono entrare in Italia ogni anno che ha portato ad annullare i canali legali di ingresso in Italia e non risponde nemmeno alle esigenze del nostro sistema produttivo". 

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