Cremazione in Nuova Delhi, India. Credits: Manish Rajput/Ansa
Cremazione in Nuova Delhi, India. Credits: Manish Rajput/Ansa

India e Covid-19, i ricchi scappano e la classe media muore

È nella borghesia che si nota un livello di disperazione in più: di solito abituata a curarsi, si sente tradita dalla promessa di benessere del governo

Carlo Pizzati

Carlo PizzatiGiornalista e scrittore

4 maggio 2021

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Chennai, India - È inesatto paragonare l’India travolta dalla seconda ondata di epidemia da Covid-19 all’inferno dantesco. Nella visione di Dante, i peccatori tormentati sono spesso ricchi prepotenti o politici che abusano del loro potere. Qui, invece, otto jet privati con a bordo multimiliardari indiani e i loro parenti sono sfrecciati verso lussuose residenze londinesi, giusto in tempo per evitare la chiusura dei voli dall’India alle quattro del mattino del 26 aprile. A seguire, le star di Bollywood in fuga alle Maldive e i campioni di cricket che espatriavano, abbandonando il campionato. A morire fuori dagli ospedali, annaspando alla ricerca d’aria come pesci senz’acqua, alla ricerca spasmodica di un respiratore d’ossigeno da cui succhiare ancora un po' di vita, sono rimasti non soltanto moltissimi poveri, ma anche la famosa classe media indiana in espansione.

È triste da dire, ma alla morte di quegli 800 milioni di cittadini indiani che vivono sotto la soglia della povertà, l’India più abbiente ci è abituata. È qualcosa di così pervasivo che in India lo si accetta spesso con decrescente empatia. Che siano morti di malaria, di tubercolosi o di diarrea (la quarta causa dei decessi nel Paese); o contadini suicidi perché la terra non rende e perché non riescono a costruire un sistema collettivo che funzionerebbe meglio; oppure, ancora, mogli bruciate vive da suocere e mariti avidi di nuove doti, dando la colpa alla bombola del gas difettosa; o, infine, le vittime delle alluvioni, dei cicloni, della siccità. Non se ne parla più molto, ma continuano a esserci.

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Oggi invece, con il deflagrare della seconda ondata dell’epidemia in India, è la classe media, medio bassa e medio alta, a essere terrorizzata, quel ceto normalmente afflitto da malattie del benessere come il diabete per i troppi zuccheri o le malattie polmonari da inquinamento. Solitamente queste categorie sociali che hanno un po’ di agganci, la bustarella facile, cognizione dei meccanismi del sistema e l’astuzia necessaria a proteggere il proprio status, sanno come aggirare una burocrazia spesso corrotta. Sono in grado, quindi, di evitare di morire di quelle malattie curabili che uccidono annualmente 2 milioni e 400 mila di poveri in India. Sono in grado di andare nelle cliniche private, non in quelle sporche e fatiscenti dello Stato. L’India, negli ultimi 15 anni, ha investito appena l’1 % del Prodotto interno lordo nella salute pubblica, molto meno di altri Paesi in via di sviluppo. Qui c’è solo un medico ogni 1500 pazienti e un infermiere ogni 600: il doppio dello standard minimo stabilito dall’Organizzazione mondiale della sanità.

È per questo che, arrivati nei parcheggi degli ospedali di Delhi, non riuscendo a salvare la madre, il fratello o la moglie, si nota in questa classe sociale un livello di disperazione in più, in confronto alla consueta rassegnazione dei più bisognosi di fronte alla morte, nello scoprire che non è possibile pagando, telefonando a un potente, sfoderando il noto “lei non sa chi sono io”, trovare un posto letto, un ventilatore, una bombola d’ossigeno o le medicine per salvarsi la vita.

L’implicito e criminale patto non detto della società indiana attuale è che finché fai parte dell’orda miserevole dei nullatenenti hai ben pochi diritti e speranze, ma quando accedi all’Eldorado neoliberista della classe media guadagnando 600 euro al mese e ti puoi comprare uno scooter, uno schermo tv o uno smartphone, pensi d’aver acquisito anche un maggior diritto alla sopravvivenza.

Molti abitanti della capitale Delhi si sono sentiti traditi dalla promessa di benessere e modernità del governo che amministra l’India da sette anni

È per questo che molti abitanti della capitale Delhi e della metropoli di Mumbai, nel contagiatissimo Stato del Maharashtra, si sono sentiti traditi dalla promessa di benessere e modernità del governo che amministra l’India da sette anni. Le persone morte nei corridoi degli ospedali, per strada, sulle barelle nei parcheggi all’aperto, o nelle loro case, non sono i soliti poveri anonimi “che devono accettare il loro karma”. Sono quelli che pensavano di poterlo cambiare, il loro destino. Coloro i quali non si sarebbero mai immaginati che in pochi giorni i crematori indù avrebbero finito la legna e i cimiteri musulmani la terra. Sono quella borghesia orgogliosa della galoppante crescita economica indiana che ha consegnato il proprio voto speranzoso nelle mani del loro leader, il fondamentalista indù di destra Narendra Modi.

“È come se ci fosse un Ufo invisibile parcheggiato sui nostri cieli che ci succhia via l’aria dai polmoni. Un attacco aereo mai visto prima”, così ha descritto la situazione nella capitale la scrittrice Arundhati Roy. Colpa del sistema? “Il sistema non è crollato. Il ‘sistema’ a malapena esisteva. Il governo ha fallito. Forse ‘fallito’ non è la parola giusta, perché ciò che stiamo testimoniando non è negligenza criminale, ma un chiaro crimine contro l’umanità”.

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Il contratto sociale consiste in un patto tra un popolo e i suoi amministratori, i quali si assumono la responsabilità, tra le altre, della tutela della salute dei cittadini. L’impreparazione e l’avventatezza dell’amministrazione pubblica indiana è davanti agli occhi di tutti. Già dalla fine del 2020, il governo del primo ministro Narendra Modi si è lasciato prendere la mano da uno smodato trionfalismo strumentale alle imminenti sfide elettorali. A metà febbraio 2021 il partito della maggioranza il Bharatiya Janata Party (Bjp) annunciava che “l’India ha sconfitto il Covid sotto la guida capace, sensibile, impegnata e visionaria del Primo Ministro, sua eccellenza Narendra Modi”. Era molto importante dare l’idea di esser riusciti a debellare il virus, contrariamente agli amici Donald Trump, in America, e Jair Messias Bolsonaro, in Brasile. Non importa che un comitato scientifico incaricato proprio del governo di monitorare la pandemia avesse suggerito di approntare misure di contenimento per l’insorgenza di una nuova variante. Anzi, il ministro della Salute a fine febbraio dichiarava che si era ormai al “fine partita” nella lotta all’epidemia in India. E c’era chi da mesi blaterava di una raggiunta immunità di gregge. Così venivano non solo confermate cinque tornate elettorali tra febbraio e aprile in Assam, Pondicherry, Bengala occidentale, Kerala e Tamil Nadu, con tanto di oceanici comizi in cui gran parte del pubblico non si copriva con la mascherina, ma si dava anche il via libera all’affollatissimo raduno religioso del Kumbh Mela, nell’Uttar Pradesh, dove da gennaio ad aprile sono transitati 9 milioni e 100 mila pellegrini andati a pregare, danzare, cantare e immergersi nel sacro Gange.

“È come se ci fosse un Ufo invisibile parcheggiato sui nostri cieli che ci succhia via l’aria dai polmoni"Arundhati Roy - scrittrice 

Visto che c’era la possibilità che questi maxi-assembramenti potessero generare maxi-contagi, perché non ci si è preparati con una rete di distribuzione di ossigeno più adeguata, con ampliamenti degli ospedali e rifornimenti di medicinali, mancanze che hanno causato la prevedibile tragedia del crudele aprile indiano? Per hybris e per calcolo politico.

Il calcolo politico è stato quello di voler riaprire con comizi, raduni, partite di cricket e cinema troppo presto per avere degli elettori felici alle urne nelle cinque votazioni primaverili. Cosa comunque inutile perché il Bjp non è cresciuto, anzi. Ha perso la battaglia per il Bengala occidentale, Kerala e Tamil Nadu. L’hybrisè stato pensare e dire che l’India è diversa, che i suoi cittadini avevano forse un’immunità più alta al Covid-19 in confronto ad altri Paesi occidentali. Questa malriposta considerazione si basava su dati chiaramente inaffidabili. Lo ha dimostrato un’inchiesta del New York Times documentando come alcuni addetti ai crematori in diverse parti dell’India, su ordine dei superiori, abbiano scritto “malattia", come causa della morte, e non “Covid”, nonostante i parenti stessi dichiarassero che il deceduto era ammalato di Covid-19.

La professoressa Bhramar Mukherjee della facoltà di biostatistica ed epidemiologia dell’Università del Michigan sostiene che in molte parti dell’India si è vissuti in una sorta di psicologico “diniego dei dati”. “È  tutto molto annebbiato”, ha dichiarato, “mi pare che nessuno capisca la situazione molto chiaramente e tutto ciò è spaventoso”. Secondo i calcoli di Mukherjee, ci sono state undici volte più infezioni di quanto dichiarato, dato convalidato da altri studi internazionali. I decessi da Covid-19 sono stati da due a cinque volte di più, al di sopra della media globale. Mukherjee conclude così il suo studio: “Non sapremo mai la verità su quanto è successo”.

La verità completa di quanti morti di Covid-19 ci siano stati e ci siano davvero in India forse non la sapremo mai, ma per la classe media delle grandi metropoli come Delhi e Mumbai, non è più possibile occultare la realtà. Una cosa è farsi sorprendere dalla pandemia nella sua prima insorgenza, o essere vittime di leader negazionisti e sovranisti che non incoraggiano a seguire le misure minime di contenimento, un’altra è, dopo un anno di esperienza globale della pandemia, illudersi che una seconda ondata non sarebbe arrivata perché ciò era più comodo per arroganti e controproducenti calcoli politici.

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