I primi incontri di Mario Draghi con i partiti sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. Credits: governo.it
I primi incontri di Mario Draghi con i partiti sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. Credits: governo.it

Non abbiamo ancora visto una bozza del Pnrr

Mancano dieci giorni alla presentazione in Commissione Ue del piano italiano per accedere ai fondi europei. Ma l'unico testo disponibile online è quello del precedente governo

Leonardo Ferrante

Leonardo FerranteReferente Anticorruzione civica Gruppo Abele e Libera

20 aprile 2021

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Mancano dieci giorni alla presentazione in Commissione europea del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il programma di investimenti che l’Italia deve presentare per poter ricevere i fondi previsti nell’ambito del Next Generation Eu, lo strumento messo in campo da Bruxelles per rispondere alla crisi provocata dal Covid-19. Ma l’unica bozza di piano disponibile online è quella prodotta dal precedente governo. Una bozza superata dalle stesse parole del presidente del Consiglio Mario Draghi, che in sede di insediamento precisò come si sarebbe ripartiti da zero. E a zero siamo rimasti, quanto a trasparenza. Il diritto alla trasparenza e alla partecipazione è andato presto in frantumi seppur di fronte alla cruciale presa di decisioni su 220 miliardi di euro tra risorse comunitarie e nazionali.

Recovery, le associazioni: "Si permetta alla società civile di monitorare i fondi"

La mancata pubblicazione online di una bozza di piano impedisce qualunque confronto pubblico sui suoi contenuti

La deadline per la consegna imposta al nostro Paese, come a ogni altro Stato dell'Unione, è stata fissata al 30 aprile. Dopo la diffusione di alcuni rumor secondo cui tutto sarebbe slitatto a metà maggio, fonti di palazzo Chigi hanno assicurato che non ci sarà alcun ritardo. La scorsa settimana sono iniziati i colloqui con i partiti e il premier Mario Draghi illustrerà il piano alle Camere il 26 e 27 aprile, dopo aver fatto un passaggio in Consiglio dei ministri. La partita di definizione dei contenuti, però, si è giocata quasi a porte chiuse. Le audizioni dei rappresentanti di interessi collettivi sono state sporadiche e residuali. Non solo, l’assenza di una pur minima bozza di plan messa online ha impedito e impedisce qualunque confronto pubblico circa i suoi contenuti di dettaglio, la conoscibilità dei progetti in esso contenuti, la monitorabilità degli stakeholder e degli interessi contemplati e la partecipazione alla strategia di governance del piano che dovrebbe concorrere a prevenire corruzione e opacità nell’erogazione di risorse. Iniziative civiche come “Ripartenza a porte aperte”, seppur promosse da oltre 30 associazioni alcune delle quali di carattere nazionale tra cui Libera e lavialibera, volta a chiedere trasparenza e partecipazione al piano, sono riuscite a trovare solo una sponda limitatissima.

Ottenuto il Recovery fund, chi controllerà come saranno usati quei fondi se la politica si affida ai supercommissari, l'Anac è in ginocchio e la società civile distratta?

La ragione è presto detta. L’assenza di una qualunque opposizione in questo momento storico certo non giova a favore di battaglie di trasparenza che almeno alcune forze politiche avrebbero potuto far proprie. La disomogeneità e la conflittualità del Parlamento hanno poi di fatto portato a un’auto-delegittimazione, o meglio a un’auto-squalifica da parte di chi lo abita, che salvo il coinvolgimento di pochissimi è finito ai margini della partita della definizione del Plan stesso accontentandosi di nomine formali. Parimenti la discussione generale e l’attenzione mediatica sono ancora del tutto assorbite dall’impatto della terza ondata e del relativo piano vaccinale che ancora stenta a produrre i suoi frutti. Insomma, una concomitanza storica che certo durerà pochissimo, ma che concorre a generare un'inspiegabile e assordante silenzio su una questione tutt’altro che residuale sulle quale le future generazioni avranno tutto il diritto di chiederci conto. La percezione che ne esce è di un clima di sudditanza rispetto a un’élite decisionale poco nota. Viviamo questo tempo di attesa che porta al piano oscillando tra diffuso eccesso di delega, preparazione di molti a salire sul carro di chi si spartirà una fetta della torta e preoccupazione da parte di pochissimi.

Sulla carta il Governo si è impegnato a garantire massima accessibilità ai dati sulla gestione della pandemia. La realtà è diversa

A questo punto è lecito chiedersi: chi ha paura della trasparenza? Forse si teme che mettere a disposizione qualunque bozza di Pnrr concorra a generare conflitto sociale o ancor peggio bagarre politica (perché ciò che è certo che della partita di definizione dei contenuti non faccia parte neanche il Parlamento)? Nel caso, il conflitto è solamente rimandato, a cari interessi. Se invece si considera il Pnrr qualcosa di puramente tecnico, il non includere chi lavora con il Paese reale rischia di produrre clamorosi fuoripista, considerando che stiamo andando a ripensare il Paese di domani. Pensare di poter garantire partecipazione e accountability “dopo”, ossia a foce del processo decisionale del piano, è l’ennesima dimostrazione di come in Italia entrambe siano intese come una formalità o, quel che è peggio, una forma di burocrazia. Nei fatti, siamo di fronte a un vulnus di democrazia, trasparenza e confronto pubblico che non possiamo in alcun modo permetterci.

Siamo di fronte a un vulnus di democrazia, trasparenza e confronto pubblico che non possiamo in alcun modo permetterci

La campagna “Ripartenza a porte aperte”, che in tale silenzio rischia di tramutarsi in una Cassandra dalla poco utile preveggenza, chiede che venga presto messa online una bozza di Plan e che si riconosca la necessità di previsione di dati, strumenti e azioni di monitoraggio civico di quanto in esso contenuto. Il tempo è poco.

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