Foto Ted Eytan
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Transessualismo, la libertà non è un'etichetta

Movimenti transessuali e femministi sono stati in sintonia per anni. Oggi l'esasperazione dell'individualismo rischia invece di indebolire l'istanza di libertà che fonda le rivendicazioni di ogni minoranza

Ornella Obert

Ornella Obertresponsabile di Oltre lo specchio, progetto per transessuali e transgender del Gruppo Abele

Aggiornato il giorno 12 aprile 2021

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Negli ultimi anni populismi e sovranismi hanno attaccato alcune conquiste femministe, come il diritto all'aborto. Anche in Italia, con il primo governo Conte e adesso con il governo Draghi, si è rischiata la revisione di alcune norme nonché l’interruzione del percorso di disegni di legge come quello sull’omotransfobia.

Le conquiste che conosciamo sono figlie di una storia che nasce negli anni Sessanta, soprattutto in Francia. Il movimento femminista leggeva le questioni di genere focalizzando l’attenzione sul corpo biologico e sui ruoli e le attese che vi si associavano. Gli studi puntavano l’attenzione sul rapporto tra natura e cultura e sul rifiuto di un destino già scritto: nascere donna non poteva, e non può, segnare una sorte ineludibile, fatta troppo spesso di diritti negati. Ma mentre agli albori del movimento si parlava di corpo per difendere il diritto all'autodeterminazione della donna, in seguito le riflessioni hanno puntato anche all’identità di genere e agli orientamenti sessuali. Da qui il passaggio successivo e la grande domanda: il mio corpo definisce chi sono? Si può essere altro rispetto al proprio dato biologico?

La presenza dei movimenti transessuali nel dibattito ha aggiunto altri elementi di confronto. Esistono persone che si sentono e sono chiaramente altro rispetto al proprio corpo. La società ha provato per anni a normalizzare queste vite e questi corpi attraverso il carcere, il confino, gli elettroshock e i trattamenti sanitari obbligatori (tso). Tuttavia ha dovuto arrendersi di fronte all’impossibilità di reprimere queste esistenze, che definirei epifaniche: rivelano che la nostra identità non si riduce al nostro corpo.

Tra movimenti transessuali e movimenti femministi la sintonia è durata anni. Le strade si sono diversificate solo nel corso del tempo, anche per prese di posizione all’interno dei singoli movimenti: la relatività del corpo è il tema centrale della riflessione transessuale e transgender, mentre per i movimenti femministi la centralità del corpo femminile è irrinunciabile.

Identità del corpo

Per avere un quadro della scena italiana è utile analizzare il dibattito che ha accompagnato l’inserimento della lotta alla misoginia all’interno della legge Zan, destinata a contrastare l’omotransfobia. Contro si sono schierate autorevoli femministe, sostenendo l’assurdità di ridurre il mondo delle donne a minoranza dell’universo Lgbt. L’obiezione è che così tutto il non maschile (eterosessuale) verrebbe compreso in questo calderone, cancellando la specificità delle lotte femminili e femministe. Proprio attorno all’alterità femmina/maschio, invece, si pone la sfida femminista che parte da una considerazione inequivocabile: le donne sono la maggioranza degli esseri umani, ma il genere maschile detiene ancora maggior potere e controllo.

Il corpo biologico è centrale nel femminismo, mentre per le persone transessuali è fondamentale la sua relatività

Alcuni movimenti femministi hanno poi chiesto con forza che fosse stralciata la dicitura "identità di genere" dall'articolo uno della legge, limitando l’esperienza transessuale al solo momento in cui si cambia genere: un passaggio e un approdo che prevede tempi e procedure stringenti di riassegnazione sessuale e anagrafica. Non sfugge il forte richiamo al binarismo di genere maschio/femmina. Da questo punto di vista il corpo biologico resta centrale: quasi una restaurazione rispetto all’evoluzione anche giuridica della riflessione sull’identità di genere degli ultimi 30 anni. La stessa Corte costituzionale ha sollecitato il legislatore affinché prescindesse dal discorso strettamente corporeo in tema di identità di genere e consentisse alle persone transessuali di chiedere il cambio anagrafico anche prima di accedere al percorso chirurgico. Diversi tribunali si sono già orientati in questo senso.

Emblematica è stata anche la vicenda dell’uccisione di una ragazza, speronata in motorino dal fratello perché aveva una relazione con un ragazzo transessuale di nome Ciro, non ancora operato e anagraficamente di sesso femminile. Intervenendo sul caso, Arcilesbica ha sostenuto che il ferimento di Ciro – uscito dallo scontro con una frattura al braccio e diverse contusioni – avrebbe dovuto essere raccontato come violenza sulla donna dato che aveva un corpo femminile. È evidente come la posizione di questi movimenti sia diametrale rispetto a quella che vede l’identità come qualcosa di acorporeo e soggetta all’autodeterminazione del singolo individuo.

Identità acorporea

Da tempo esiste una linea di pensiero sempre più insofferente ai protocolli e alle rigide procedure a cui sono soggette le persone che intendono cambiare la propria identità sessuale. Secondo alcuni la medicalizzazione di tali percorsi richiama una patologizzazione delle identità non conformi, vissuta come una pesante intromissione nella sfera privata delle persone. Cosa vogliono dai nostri corpi? è il titolo di un manifesto che ha sintetizzato la cosiddetta filosofia queer, mettendo in discussione la distinzione tra sesso, genere e orientamento sessuale, e introducendo il concetto di variabilità di genere, cioè l’attitudine del genere sessuale a manifestarsi in una pluralità di sfumature.

Si difendono posizioni sempre più piccole ed esclusive, anziché un'idea di società

Inoltre, negli ultimi anni sono nati movimenti transfemministi che rivendicano l’appartenenza al genere femminile di persone, e corpi, non conformi. I principi transfemministi affermano che ogni individuo abbia diritto di definire la propria identità e di essere rispettato dalla società senza discriminazioni o violenze. A questo si affianca il diritto esclusivo di prendere decisioni circa il proprio corpo senza che nessuna autorità politica, medica o religiosa possa essere d’intralcio.

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Generazione fuori dai binari

La grande novità di questi ultimi anni sono gli under 25 che si definiscono non binari. Una delle definizioni più diffuse considera non binary una persona che "non si riconosce e non riconosce la costruzione binaria del genere, ovvero l’idea che esistano solo due generi, uomo e donna". Tuttavia, non si può parlare di una sola identità non binary, dato che quest’identità può essere vissuta in modi diversi. Ne è conferma la grande pluralità di definizioni che colora il mondo Nbgq (acronimo di non binary e genderqueer). Di fatto, all’interno della comunità transgender è in aumento la percentuale di quanti si definiscono non binari che, secondo alcune ricerche, sarebbe passata dal 35 al 50 per cento. 

Persone che affermano "non è il mio corpo a decidere chi sono" e trasformano, anche chirurgicamente, il proprio fisico alla ricerca della propria definizione di sé. A volte sono arrabbiate, altre sono semplicemente in cerca di rappresentazioni, anche a livello sociale, che corrispondano alle loro istanze. Non è un caso che siano molto attratte dal Giappone e dall’idea di una corporeità più libera che quella cultura sembra riflettere. Il mondo dei manga esercita su di loro un fascino spesso totalizzante. La Rete è la loro casa. Lì cercano informazioni sulla sessualità, la transizione di genere, le possibilità chirurgiche o farmacologiche. Talvolta, quando sono molto giovani, anche esponendosi a rischi non indifferenti per la salute e il benessere.

Non perdiamo di vista il bene collettivo

In modo frammentato e acceso, il dibattito ha conquistato progressivamente uno spazio sempre più ampio sulla scena pubblica. Il bisogno di essere riconosciuti nella propria individualità senza doversi per forza definire sembra fare da specchio all’individualismo che caratterizza la società di oggi.
Indicativo della frammentazione che stiamo vivendo è il fatto che Facebook offra la possibilità ai propri iscritti di definirsi attingendo da un ventaglio di decine di opzioni differenti, in costante aggiornamento. La stessa definizione Lgbt continua ad aggiornarsi nella ricerca di rappresentare tutti. Ognuno si chiude all’interno di una propria etichetta contraddicendo di fatto l’istanza collettiva di libertà che è alla base di tutti i movimenti di liberazione delle minoranze.

Il rischio è di perdere di vista il grande vessillo iniziale: il riconoscimento delle sfumature di ognuno. Ognuno di noi si trova ad avere a che fare con un corpo, spesso imperfetto, a volte improbabile, malato, prima o poi vecchio. Ci si confronta con un’identità che non è mai la stessa perché non si è donne, né uomini, allo stesso modo nell’infanzia, nell’adolescenza, nella maturità e nella vecchiaia. Eppure, chiunque ha nel proprio corpo una cicatrice profonda: un ombelico che ci richiama al fatto che siamo nati da un corpo di donna. Una realtà, fino ad oggi, da cui non si può prescindere.

Sigle esaustive non esistono, come umani siamo irrisolvibili

Assistiamo, invece, alla difesa di posizioni sempre più piccole ed esclusive, anziché di un'idea di società. La rabbia è stata la spinta per uscire da condizioni di discriminazione e oppressione e ha prodotto nel tempo anche grandi risultati nella conquista di importanti diritti. In una società in cui il conflitto e il malcontento sono la cifra delle relazioni sociali, occorre vigilare affinché alle battaglie corrisponda effettivamente il raggiungimento di maggior benessere. Dove c'è un individualismo sfrenato, anche nei rapporti tra diversi movimenti, la battaglia di libertà può diventare un'arma a doppio taglio a spese del bene collettivo.

Un linguaggio inclusivo per una società più aperta

Foto di Ted Eytan
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Conquiste e campo aperto

Ripercorrere divisioni e questioni in sospeso non deve fare dimenticare le conquiste e i passi avanti compiuti. Il riconoscimento dei diritti civili, la conquista delle leggi sulla transizione di genere, sulla repressione delle discriminazioni sono frutto di molte battaglie che hanno visto convergere gli sforzi di molte e molti. Ma forse occorre accettare, e custodire, l’inquietudine che come esseri umani ci portiamo dentro. Siamo alla rincorsa di linguaggi perfetti, di etichette o sigle esaustive, quando come umani siamo invece irrisolvibili. Le sfumature accompagnano le nostre vite e il senso delle nostre appartenenze.

La filosofa Luce Irigaray diceva: "La questione della differenza sessuale rappresenta uno dei problemi, o il problema che la nostra epoca ha da pensare". La sua riflessione è attualissima perché sottolinea la portata della questione. Sempre Irigaray sosteneva che senza sanare la frattura esistente tra femminile e maschile è impossibile affrontare qualsiasi discorso sulla parità tra le persone (lo straniero, il diverso), superare disuguaglianze e differenze.

Da lavialibera n° 7 2021

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