Cuneo, 24 settembre 2020. Prima udienza del processo Momo sul caporalato nel saluzzese. Foto di Federico Tisa
Cuneo, 24 settembre 2020. Prima udienza del processo Momo sul caporalato nel saluzzese. Foto di Federico Tisa

La "banda dei pennuti". Caporalato a Saluzzo

Al via al tribunale di Cuneo il primo processo per caporalato nel distretto della frutta di Saluzzo, dove su una media di 13mila stagionali, 11mila sono stranieri

Federica Tourn

Federica TournGiornalista

Federico Tisa

Federico TisaFotografo

Aggiornato il giorno 11 aprile 2022

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Aggiornamento dell'11 aprile 2022: Ci sono delle prime condanne per caporalato nell’area del Saluzzese, in provincia di Cuneo. Lunedì 11 aprile 2022 il tribunale di Cuneo (giudice Alice Di Maio) ha inflitto a Moumouni Tassembedo, detto Momo, 34enne originario di Ouagadougou (Burkina Faso), una pena a cinque anni di reclusione e 14.700 euro di multa per aver reclutato molti lavoratori di origine africana. Pena simile per i vertici di un’azienda agricola di Lagnasco, Diego Gastaldi e la madre Marilena Bongiasca: cinque anni e 14mila euro di multa. Il padre del primo, Graziano Gastaldi, è stato assolto dai fatti a lui contestati. Tre anni e 8.400 euro di multa per i titolari di un'azienda di polli di Barge, Andrea Depetris e Monica Coalova. Assolta invece Agnese Peiretti, madre di Depetris.

Tassembedo, Gastaldi e Bongiasca dovranno pagare un risarcimento provvisionale di 50mila euro più le spese processuali a uno dei lavoratori sfruttati che si è costituito parte civile nel processo. Tutti i cinque condannati dovranno inoltre risarcire un secondo lavoratore con 15mila euro (più le spese legali), mentre 10mila euro dovranno andare alla Cgil-Camera del lavoro di Cuneo e alla Flai Cgil (entrambe rappresentate dall’avvocato Valentina Sandroni) e all’associazione Sicurezza e lavoro, assistita dall’avvocato Giacomo Mattalia.

Il giudice ha infine stabilito che per due anni i condannati saranno interdetti “dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, dalla conclusione di contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di forniture di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione e relativi subcontratti” e saranno anche “esclusi per la stessa durata da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici, nonché dell'Unione europea, relativi al settore di attività oggetto dell'imputazione”.


Migranti che fanno il doppio lavoro, di giorno nei campi e di notte nei capannoni, con ritmi estenuanti. Un "caporale nero" li gestisce per conto di aziende che evadono il fisco e sottopagano i lavoratori. È uno scacchiere in cui ognuno ha il suo posto e si muove con regole ben definite quello emerso dal processo al tribunale di Cuneo, in cui Moumouni Tassembedo, detto Momo, originario del Burkina Faso, l’imprenditore agricolo di Lagnasco Graziano Gastaldi con la moglie e il figlio, e i vertici di una ditta di carni bianche di Barge, Andrea Depetris con la madre e la moglie, sono accusati di sfruttamento della manodopera agricola. Secondo gli inquirenti, avrebbero orchestrato un sistema per reclutare i braccianti africani, sfruttando la loro condizione di fragilità economica e sociale: caporalato, come previsto dalla legge 199 del 2016.

Per la prima volta quest’accusa viene rivolta a ditte del distretto della frutta ai piedi del Monviso, dove quasi ottomila aziende si reggono sull'apporto dei migranti subsahariani che ogni primavera arrivano dal Sud Italia per la raccolta. Secondo la Coldiretti, su una media di 13mila stagionali, 11mila sono stranieri; il 2020 è stato però un anno eccezionale per le restrizioni causate dalla pandemia che ha abbassato del 65 per cento il numero dei lavoratori provenienti dai Paesi extraeuropei (dati Istat). Tra quelli intercettati dalla Caritas, all'infopoint del progetto Saluzzo migrante, la scorsa stagione sono state registrate 662 persone (904 l'anno precedente), provenienti da 25 Paesi e in particolare da Mali (35 per cento), Senegal (17), Gambia (11) e Costa d'Avorio (8).

Saluzzo, appello per i braccianti

La zona grigia del caporalato

Più che di lavoro nero (che pure esiste), qui si parla di zona grigia: una palude nella cui opacità si muovono personaggi abili a imporre condizioni e a trovare sistemi per aggirare la legge e truffare i migranti. Salari sotto il minimo, buste paga all’apparenza corrette ma in cui vengono dichiarate meno giornate di quelle svolte dal lavoratore. Lo schema, abbastanza noto da queste parti, impedisce al bracciante di collezionare il numero minimo di giorni di lavoro indispensabili per poter accedere alla disoccupazione o rinnovare il permesso di soggiorno.

Un lavoratore ha ricevuto ufficialmente 1.200 euro ma ne ha dovuti restituire 630 sotto banco all'azienda

Problemi a cui la Gastaldi, una delle ditte sotto processo, aveva trovato una soluzione a vantaggio della cassa aziendale: per aiutare i lavoratori a raggiungere il reddito minimo necessario per la carta di soggiorno, gonfiava i dati dei certificati unici facendosi poi restituire in contanti l’importo esatto dei contributi a suo carico. Non solo: come riferito in udienza dal maresciallo Dario Scarcia, comandante del Nucleo dei carabinieri dell’Ispettorato del lavoro di Cuneo che ha condotto le indagini insieme alla Digos della questura, un lavoratore aveva ricevuto ufficialmente 1.200 euro ma aveva dovuto restituirne 630 sotto banco all'azienda. "Abbiamo calcolato che nel periodo fra il 2014 e il 2019 la Gastaldi ha incassato 291mila euro di profitti illeciti derivanti dallo sfruttamento dei lavoratori e dall’evasione fiscale", ha puntualizzato il maresciallo.

A casa di Moumouni Tassembedo i carabinieri hanno trovato documentazione relativa ad altri dipendenti della ditta Gastaldi: contratti, certificazioni uniche, codici fiscali, orari di lavoro reali e fittizi da dichiarare in caso di domande delle forze dell'ordine. Il nome del caporale, insieme ai proprietari e ad altri responsabili delle ditte Gastaldi (lavorazione della frutta) e Depretis (pollame e carni bianche), è anche presente in una chat – dal suggestivo nome “La banda dei pennuti” – in cui si discuteva della manovalanza africana. Per i suoi uffici di intermediario, il caporale riceveva un compenso dai braccianti.

Quella che ha portato al processo ora in corso non è l'unica indagine nella zona: almeno altri cinque fascicoli sono aperti e uno in particolare, secondo le parole dell'ex questore di Cuneo Raffaele Ricifari, "riguarda fatti ancora più gravi del caso in discussione al tribunale".

Saluzzo, settembre 2020. Foto di Federico Tisa
Saluzzo, settembre 2020. Foto di Federico Tisa

Passaparola

Dal trovare lavoro a un connazionale a diventare caporale il passo può essere breve, soprattutto in un territorio dove la ricerca di manodopera si basa ancora sul passaparola. "I padroni ti chiedono: conosci qualcuno che possa venire a lavorare con te domani? Tu dici di sì e porti un amico – riassume Andrea Basso, segretario della Flai Cgil Cuneo –. Nei giorni successivi ne servono altri due, e così via: finché capisci che puoi guadagnarci qualcosa e cominci a chiedere denaro per il favore". "Dal canto loro, i ragazzi sono riconoscenti per l'opportunità avuta e fanno tutto quello che chiede il Momo della situazione – conferma Virginia Sabbadini, coordinatrice del presidio Caritas della città –. Non lo denunciano perché il caporale ha garantito per loro. Molti sono fedeli anche al datore di lavoro perché hanno paura che, creando problemi, non troveranno più un impiego in nessun’altra azienda".

Ben pochi, d'altronde, sono in condizioni di reagire, anche perché i datori di lavoro si tutelano: è prassi che aziende, organizzazioni di categoria e alcuni sindacati facciano firmare allo stagionale un accordo tombale in cui in cambio di una cifra minima quest'ultimo si impegna a non fare vertenza. "Nel caso della ditta Gastaldi, questo accordo veniva stipulato regolarmente con tutti i dipendenti, davanti a Coldiretti e Cisl, in cambio di cinquanta euro", sottolinea in udienza il maresciallo Scarcia. La Cgil, che insieme alla Flai si è costituita parte civile, non ci sta: "È legale, ma è comunque una truffa, perché chi ci rimette è sempre il lavoratore che sovente non capisce nemmeno cosa sta firmando", sottolinea Davide Masera, segretario generale della Cgil di Cuneo.

Lavoratori migranti, sfruttatori italiani

Saluzzo non è Rosarno

Nel 2018 nel Saluzzese, secondo i dati della Cgil, su 240 aziende controllate, 123 non erano a norma, pari al 51 per cento; su 875 lavoratori verificati, 281 erano irregolari (il 32 per cento) di cui 113 totalmente in nero. Per questo era stato varato un protocollo sperimentale con la Regione Piemonte per far incontrare domanda e offerta di lavoro tramite liste trasparenti al centro dell'impiego. Ma il tentativo non è andato a buon fine – nel 2019 si sono registrate soltanto una dozzina di assunzioni con questo sistema – per lungaggini burocratiche e una lunga consuetudine che vede nella chiamata diretta o nel solito passaparola un modo più efficace per trovare manodopera.

"Qui non siamo a Rosarno, il caporalato non esiste: i datori di lavoro sono persone corrette che pagano i dipendenti", tuona Mario Dotto, segretario della Coldiretti di Saluzzo, che rappresenta il 70 per cento delle aziende agricole del territorio. "La scorsa stagione, dato che le strutture adibite per l'accoglienza erano chiuse a causa della pandemia, quasi tutti si sono anche fatti carico di ospitare i lavoratori africani in azienda – aggiunge – e non erano obbligati a farlo". Molti braccianti sono comunque rimasti a lungo per strada, fra sgomberi delle autorità e il rischio covid.

No, Saluzzo non è Rosarno. È una terra strana, soprattutto in questa stagione, persa nella nebbia e schiacciata sotto la brina ghiacciata, dove la ricchezza esplode evidente nel passeggio sotto i portici del centro nei fine settimana e gli stracci e le coperte fradice dei migranti restano nascoste dietro le reti. Dove può succedere di essere condannati a quattro mesi per una scritta sul muro dell'ex caserma Filippi trasformata in dormitorio per stagionali, mentre centinaia di buste paga truccate vengono consegnate ogni anno all'Inps. Dove tutti si conoscono e sono consapevoli di un meccanismo di sfruttamento della manodopera così diffuso da apparire normale. Ma, per ironia della sorte, dato che qui si sfrutta un po' meno che al Sud, il sistema Saluzzo finisce per diventare addirittura virtuoso, un esempio da seguire.

"I migranti stessi spesso hanno difficoltà a capire in che modo vengono imbrogliati – spiega Lele Odiardo del Comitato antirazzista saluzzese –. Un datore di lavoro che fa un contratto e paga sei euro all'ora, invece dei consueti cinque, è già considerato bravo dallo stagionale che a Rosarno o a Foggia prendeva la metà, anche se il salario è sotto il minimo sindacale e non vengono corrisposti gli straordinari". "È necessario fare un lavoro culturale con gli stagionali in modo che imparino a tutelarsi – aggiunge Masera –. Si potrebbe poi creare un marchio etico che premi la produzione eticamente pulita, perché lo sfruttamento della manodopera non va a svantaggio soltanto dei lavoratori stagionali, ma anche delle aziende che si comportano correttamente".

Bio, noCap e km 0. A Foggia è possibile

Intanto, grazie all’impegno del sindacato, nel 2018 sono aumentate del 25 per cento le assunzioni regolari e nel 2019 addirittura del 53 per cento: "È un segnale che sul fronte della legalità qualcosa si sta muovendo – conclude Masera – ma molto resta ancora da fare". Il processo in corso – la sentenza è attesa non prima dell’estate – potrebbe contribuire finalmente a far emergere complicità e meccanismi di uno sfruttamento troppo a lungo rimosso.

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