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San Ferdinando, dopo lo sgombero tante macerie e nessun vincitore

Nonostante gli sgomberi, nella Piana di Gioia Tauro sembra impossibile trovare una soluzione di vita dignitosa per i migliaia di braccianti africani impegnati negli agrumenti

Francesco Donnici

Francesco DonniciGiornalista

30 aprile 2020

Va saputa leggere la Salerno-Reggio Calabria, tra i suoi cantieri, le interruzioni, il mare e le campagne. Ti accorgi di essere arrivato nella Piana di Gioia Tauro quando inizi a scorgere gli agrumeti o le indicazioni per il porto. Poi l’uscita di Rosarno. Non è facile trovare la zona industriale di San Ferdinando perché l’illuminazione è quella che è. Luce o meno, sono stipati lì migliaia di "dannati della terra, lavoratori stranieri nel nostro Paese, in assenza di misure e azioni concrete da parte delle istituzioni e della politica", come racconta il Rapporto Medu 2018 sulle condizioni dei braccianti nella Piana. Un mondo illuminato a fasi alterne: dalla luce intermittente dei roghi che se li sono portati via uno dopo l’altro o quella più intensa dei flash quando è stato tempo di sgomberare, l’ultima volta il 6 marzo 2019. Poi solo buio.

Il silenzio che normalmente accompagna quei luoghi è testimoniato anche da ciò che (non) è successo con l’emergenza coronavirus. "I braccianti si trovano a convivere in gran numero in spazi angusti", impossibilitati ad adottare "le misure basilari per la prevenzione del contagio, prima tra tutte il lavaggio di mani e abiti", ha denunciato Mediterranean Hope, il programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche. In piena crisi, a occuparsi dei braccianti sono rimasti solo un sindaco e le associazioni.

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