
Alexandra Geese: "Prendiamoci la metà del potere che ci spetta"

30 luglio 2020
Dietro le grandi migrazioni contemporanee c’è, in un modo o nell’altro, lo zampino del cambiamento climatico. Con le dovute differenze, è il caso della Siria, da dove scappano i profughi che arrivano in Europa attraverso la rotta balcanica, come del Sahel – la porzione di territorio che si estende tra il deserto del Sahara a nord e la foresta pluviale a sud – da cui proviene la maggior parte dei migranti che approda nel nostro Paese. Qualcuno potrebbe obiettare che il clima è sempre cambiato e le migrazioni sono sempre avvenute nella storia dell’homo sapiens, ma non terrebbe conto di due importanti differenze rispetto al passato. Oggi parliamo di gente disperata in fuga dalla fame e dalla guerra, costretta a lasciare la propria casa. Una migrazione forzata legata a doppio filo a un riscaldamento della Terra diverso da ogni altro mai registrato in precedenza: è molto più rapido, non è limitato ad alcune zone del Pianeta, bensì esteso all’intero globo, ed è causato soprattutto da attività umane, quali l’emissione di gas serra, la deforestazione, e il cattivo uso del suolo, compresa un’agricoltura non sostenibile. Tutto ciò ha portato a un aumento dell’intensità, e talvolta della frequenza, degli eventi climatici estremi: dalle ondate di calore alle alluvioni.
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