Il Salar de Uyuni, in Bolivia. Foto di Alexander Schimmeck
Il Salar de Uyuni, in Bolivia. Foto di Alexander Schimmeck

Batterie al litio, i danni ambientali dietro al simbolo green

Mentre la competizione internazionale per accaparrarsi le riserve di litio si fa sempre più serrata, in America latina un osservatorio mette in dubbio la sua sostenibilità per territori e comunità locali

Alice Pistolesi

Alice PistolesiRedattrice Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo

4 novembre 2020

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Il litio, elemento essenziale per le batterie di computer portatili, tablet, cellulari e auto elettriche, è considerato uno dei simboli dell'economia green. Il metallo alcalino – l’elemento chimico numero tre della tavola periodica – disperde infatti pochissima carica se non utilizzato. Per capirne l’importanza, basti pensare che nel 2019 il premio Nobel per la chimica è stato assegnato al gruppo di lavoro composto da John B. Goodenough, M. Stanley Whittingham e Akira Yoshino proprio per lo sviluppo delle batterie ricaricabili al litio.

Secondo le previsioni di Bloomberg New energy finance, nel 2030 il mercato delle batterie al litio arriverà a valere 116miliardi di euro all'anno, con una crescita di almeno dieci volte rispetto al valore attuale. Anche per questo, il metallo è sempre più al centro delle dinamiche geopolitiche. Elon Musk, cofondatore e ad di Tesla, l’azienda specializzata in auto elettriche, ha acquisito a settembre una nuova licenza estrattiva per il litio in Nevada, mentre lo scorso 3 settembre la Commissione europea ha dato il via libera a un’alleanza industriale per la costituzione di una catena di approvvigionamento completa di materie prime tra cui il litio, considerato fondamentale per il futuro digitale e la transizione verde del Vecchio continente.

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Il minerale (con le sue concessioni) sembra sia stato addirittura coinvolto nel golpe ai danni dell'ex presidente Evo Morales in Bolivia. L’80% delle riserve mondiali di litio si trova, infatti, in America latina, nel cosiddetto triangolo del litio tra Cile, Argentina e Bolivia. E proprio qui c’è chi sostiene che l'elemento chimico non sia una risorsa del tutto sostenibile e rispettosa dell’ambiente in cui viene estratto e delle popolazioni che vi abitano. Tra gli altri c’è l'Osservatorio plurinazionale di Salares Andinos, un gruppo nato a San Pedro de Atacama in Cile che riunisce rappresentanti di comunità, organizzazioni e ricercatori provenienti da Cile, Argentina e Bolivia, preoccupati per le conseguenze, l'intensificazione e l'espansione dell'estrazione del metallo.

Il già sovrasfruttato Salar de Atacama

Secondo le stime, il solo Salar de Atacama nel nord del Cile, uno dei più grandi del continente dopo il Salar de Uyuni in Bolivia, conterrebbe tra il 27 e il 30% di tutte le riserve mondiali di litio. È situato nel comune di San Pedro de Atacama, la più grande destinazione turistica del Cile, dove vivono 11mila abitanti, di cui la metà indigeni, per la maggior parte Atacameños di tradizione agropastorale.

A estrarre litio ad Atacama sono principalmente le aziende Sociedad Quimica e Minera (Sqm) e Albemarle, due dei principali gruppi economici mondiali nell'estrazione della risorsa. Ma ci sono anche altre compagnie minerarie che utilizzano l’acqua del bacino per altre attività estrattive. In quest’area il litio si trova, infatti, nei deserti salati, le cosiddette saline. L’acqua presente nei laghi salati sotterranei viene portata in superficie e fatta evaporare in grandi vasche.

In previsione dell'aumento della domanda di litio, la Sqm, società privatizzata sotto la dittatura di Pinochet, i cui familiari possiedono ancora oggi parte rilevante delle azioni, promette di triplicare la propria produzione entro il 2030. Ma secondo i ricercatori, per soddisfare il crescente mercato delle auto elettriche il già sovrasfruttato Salar de Atacama non sarà sufficiente: occorrerà sfruttare altre falde acquifere e saline nei territori abitati dalle popolazioni indigene Atacameños, Lickanantay, Colla, Quechua e Aymara, andando così a impattare su altre aree protette.

Il Salar de Atacama, in Cile. Foto di Alice Pistolesi
Il Salar de Atacama, in Cile. Foto di Alice Pistolesi

Problemi ambientali, sociali e giuridici

L'estrazione del litio, che risale alla metà degli anni Ottanta, ha nel tempo causato gravi danni agli ecosistemi e alle comunità locali. Secondo l'Osservatorio e le altre associazioni ambientaliste, con il tempo si è danneggiata la distesa di sale, prosciugando gradualmente le sue zone umide.

“Pur comprendendo l'importanza del litio come materia prima – si legge in uno dei comunicati dell'osservatorio andino – non accettiamo in nessuna circostanza che ciò implichi il sacrificio di acqua e vita nel nostro territorio”. L'estrazione idrica indiscriminata colpisce direttamente le comunità che devono affrontare gravi problemi di approvvigionamento idrico per l'agricoltura, la pastorizia (lama in primis) e il turismo locale. “Ad oggi non esistono studi finiti sulle conseguenze ambientali – spiega a lavialibera Ramón Morales Balcázar, ricercatore dell'Universidad autónoma Metropolitana-Xochimilco in Messico e membro dell'Osservatorio plurinazionale delle saline andine –. C'è molta incertezza sul grado di danno attuale e di quello che si avrebbe continuando l'estrazione a questi ritmi”.

Alle conseguenze ambientali si sommano quelle sociali: il costante intervento di tutte le società minerarie della zona ha generato forti divisioni, conflitti, inganni e resistenze nella convivenza comunitaria. “Gli accordi e le compensazioni che le società minerarie hanno concluso nel territorio – prosegue il ricercatore – hanno causato divisioni e tensioni tra la popolazione. Le aziende hanno sfruttato l'assenza dello Stato per soddisfare numerosi bisogni primari della popolazione locale e sottoscrivere accordi di assistenza in cambio dell’accettazione della propria presenza e delle gravi conseguenze socio-ambientali dell'estrazione mineraria nei loro territori”.

"Il lito non è una risorsa ecologia: la sua estrazione sta riproducendo le stesse dinamiche di devastazione e occupazione del territorio delle altre attività estrattive"Ramón Morales Balcázar - Osservatorio plurinazionale delle saline andine

Il litio – conclude Balcázar – non si può considerare una risorsa ecologica perché la sua estrazione sta riproducendo le stesse dinamiche di devastazione e occupazione del territorio. L'estrazione lascia impatti tremendi sul territorio e sappiamo già che si verificherà lo stesso copione di sempre. Appena le aziende avranno ottenuto quello che vogliono lasceranno il posto e la sua gente a convivere con le conseguenze. Le batterie al litio non sono ecologiche: la loro impronta ambientale viene semplicemente ignorata”.

Ci sono infine questioni giuridiche. Da una parte la legge cilena che consente ai depositi di non essere trattati come acque sotterranee ha permesso decenni di estrazione a basso costo, dall'altra il mancato obbligo di reperire dati idrogeologici non consente di determinare il reale impatto dell'estrazione di litio e rame sull'ecosistema.

Il nodo idrico

Secondo gli studi dell'Università di Antofagasta in Cile, per ogni tonnellata di minerale estratto sono necessari due milioni di litri di acqua. “Si stima – ci racconta Balcázar – che dal salare vengano estratti duemila litri al secondo, ovvero milioni di litri al giorno. Lo squilibrio idrico sta provocando il prosciugamento di fiumi e falde acquifere. Ciò sta interessando i laghi e le zone umide ai margini della distesa di sale e nelle montagne, ecosistemi che ospitano specie endemiche altamente vulnerabili, molte delle quali protette dalla legge”.

Si stima che dal salare vengano estratti duemila litri d'acqua al secondo: milioni di litri ogni giorno. Uno squilibrio idrico che sta provocando il prosciugamento di fiumi e falde acquifere

Nel territorio, secondo gli osservatori, gli effetti dell'estrazione e del riscaldamento globale stanno inoltre portando alla scomparsa dei fenicotteri e di altre specie autoctone del salare. Le lagune e le aree verdi sono state inglobate nel deserto, causando problemi agli Atacameños che non possono più mantenere gli allevamenti di lama. La questione idrica non è comunque solo un problema di chi abita nel territorio: “Le zone umide e le oasi del bacino di Atacama – spiega Balcázar – regolano la temperatura del deserto e catturano la CO2: sono armi vive contro il cambiamento climatico”.

Cambiamento climatico: cos’è e perché pccuparsene

Tra cambiamento climatico e Covid-19

Il Cile è uno dei Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici: nonostante produca solo lo 0,25% delle emissioni globali di gas serra, possiede sette dei nove fattori di rischio stabiliti dalla Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici. Nel Paese il settore industriale e minerario è responsabile del 77,4% delle emissioni di gas serra.

Nella sola comunità di San Pedro de Atacama convivono quattro fattori di rischio: presenta aree aride o semi-aride, è incline ai disastri naturali, ha aree soggette a siccità e desertificazione ed ecosistemi montuosi. Le alte temperature e l'estrema aridità (il deserto di Atacama è considerato l'area più arida della Terra) si combinano con le violente piogge estive che causano morti, inondazioni, erosione ed enormi perdite economiche. Secondo l'Istituto cileno per i diritti umani (Indh), il Paese ha attualmente almeno 117 conflitti ambientali in corso, un terzo dei quali in territorio indigeno.

L'arrivo del Covid-19 a San Pedro de Atacama ha annullato la risorsa del turismo e in moltissimi sono stati costretti a lasciare il territorio. Le organizzazioni locali hanno chiesto senza successo al governo e alle compagnie minerarie di sospendere temporaneamente le loro attività per evitare il contagio. Ma un barlume di speranza secondo l'osservatorio si vede ed è rappresentato dal percorso costituzionale che ha preso il via dall'approvazione del referendum del 25 ottobre. “Per il Cile e il Salar de Atacama – conclude Balcázar – il nuovo processo costituzionale, seguito agli sconvolgimenti sociali di massa, rappresenta un momento storico e un'opportunità per progettare una Costituzione che sia plurinazionale, post-estrattivista, non patriarcale e agroecologica, che protegga vita e uguaglianza”.

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