Beni comuni, perché la politica tace

I politici arrancano perché complici di un sistema economico ingiusto alla radice, devono tornare a essere eretici

Luigi Ciotti

Luigi CiottiDirettore editoriale lavialibera

2 novembre 2020

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Parlando di beni comuni non possiamo non parlare di etica e politica. La più bella e incisiva definizione di politica l’ha data un Papa. "Politica – ha detto Paolo VI – è la più alta ed esigente forma di carità". Ma se la politica è carità, allora è prima di tutto prendersi cura delle persone più fragili, di chi sta ai margini, di chi non ha lavoro o futuro. Se non lo fa, tradisce la sua essenza, il suo scopo: non è più politica. Etica, dal canto suo, non è definire quello che è bene e quello che è male, non è scrivere codici al riparo di un tetto e fra quattro mura. Etica è cosa facciamo di fronte al disumano che accade attorno a noi, è responsabilità, consapevolezza che la nostra vita è collegata alla vita degli altri, che l’interesse pubblico è anche nostro interesse. La responsabilità è la premessa dell’onestà, dell’integrità morale, dell’impegno per il bene comune.

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Occorre una rivoluzione della politica e dell’economia che riconosca la relazione che ci lega gli uni agli altri e, tutti insieme, alla Terra, il primo dei beni comuni. I beni comuni sono inestimabili, non possono obbedire alla logica del mercato. Il mercato va bene per i beni di consumo, ma ai beni comuni, che sono sorgenti di vita, deve pensare la politica. Eppure, su questi temi la politica arranca. Arranca perché si è resa complice, salvo eccezioni, di un sistema economico che Papa Francesco ha definito "ingiusto alla radice". Un sistema che produce disuguaglianze, che aumenta la forbice tra ricchi e poveri, che distrugge il legame sociale e intanto sfrutta e distrugge il pianeta. La grande domanda è allora: perché, salvo eccezioni, la politica tace?

La politica arranca perché complice di un sistema economico ingiusto alla radice

Il ruolo della politica 

La politica deve tornare a pensare in grande. Ma pensare in grande non significa discutere dei massimi sistemi per poi incagliarsi al primo conflitto di potere. Pensare in grande vuol dire partire dai bisogni e dalle speranze delle persone, dalla loro vita concreta. Vuol dire pensare alle persone in quanto persone, non come elettori a cui strappare il consenso. Perché la democrazia torni a essere “potere del popolo” è necessario che la politica torni a parlare con le persone e non alle persone. Oggi è più che mai urgente una dieta e una bonifica delle parole: troppa retorica, troppa demagogia, troppo spaccio di illusioni.

Non voglio trascurare gli sforzi, le cose positive – che vanno riconosciute e sostenute – ma i dati sulla povertà, sulla disoccupazione, sull’analfabetismo di ritorno sono sotto gli occhi di tutti. Lo dico con l’umiltà ma anche con l’angoscia di chi questa situazione la tocca ogni giorno con mano: nel nostro Paese non esiste più un ceto medio, si è aperta una voragine tra i pochi ricchi e i tanti poveri. L’articolo 3 della Costituzione – l’architrave della nostra Repubblica – esiste ormai quasi solo sulla carta. Incontro ogni giorno tanti giovani, pieni di passione e di talento nelle scuole, nelle associazioni, nei campi estivi sui beni confiscati alle mafie: smettiamo di illuderli! I giovani vanno sostenuti, incoraggiati, ma anche dotati degli strumenti necessari per realizzare le loro capacità, il loro amore per il bene comune. Non farlo è uccidere la speranza. La scuola e il lavoro sono le priorità di una società aperta al futuro. Diamo ai giovani quello che gli spetta e saranno loro, gli esclusi di oggi, a indicarci e a costruire la strada del domani.

L'uomo tratta la natura come una proprietà, materia inerte da manipolare e sfruttare, come se lui non ne facesse parte. Ben vengano norme e trattati che la tutelino

Non parliamo di crescita delle disuguaglianze, ma di crescita delle ingiustizie. Disuguaglianza è un concetto astratto, che rimanda a una differenza matematica. Ingiustizia è un concetto che richiama il sopruso del forte verso il debole. Riconosciamo che alla base di una disuguaglianza c’è sempre un’ingiustizia. La parola chiave, lo ripeto, è responsabilità. Che deve però a sua volta essere rivisitata e rafforzata. Non più solo responsabilità di quello che facciamo ma anche di quello che non facciamo. Se oggi il male è ancora così forte è anche perché le ingiustizie si sono alleate con le nostre omissioni. Il male non è solo di chi lo commette, ma anche di chi guarda e lo lascia fare.

Di questo mondo, dove la regola del profitto e della ricchezza facile e illecita troppo spesso prevale sulla regola del bene comune, sono parte le mafie. Ecco allora che alla violenza si preferisce il metodo più comodo e vantaggioso della corruzione. Tra crimine organizzato, crimine politico e crimine economico è sempre più difficile distinguere. Non basta allora appellarci alla legalità, parola che è diventata in molti casi un idolo, uno slogan, se non la copertura di azioni ambigue o apertamente illecite. Le leggi dei codici devono fondarsi sulla responsabilità – che è la legge delle coscienze – altrimenti il loro rispetto sarà mosso solo dal conformismo, dalla convenienza, o dal timore. Di questo era convinto Giuseppe Dossetti, uno dei padri della Costituzione, una persona che da laico e poi da monaco, non ha mai smesso d’impegnarsi per la nostra dignità e la nostra libertà. Scriveva Dossetti: "Senza il rinnovamento profondo e radicale delle coscienze e delle persone responsabili della vita amministrativa e politica, il rinnovamento sarà più apparente che reale".

Ai politici dico: siate eretici. Non rassegnatevi alle ingiustizie, scegliete libertà e impegno

L’invito alla politica è allora ad ascoltare: ascoltare le voci della strada, delle persone fragili, sole, disorientate. La dignità della politica comincia da lì. L’augurio è di essere eretici. La parola eresia significa scelta. Eretico è chi sceglie la libertà e la impegna per liberare chi ancora libero non è. Eretico è chi non si accontenta dei saperi superficiali e ama più della verità la ricerca di verità. Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze, chi non si rassegna alle ingiustizie, chi non pensa che la povertà sia una fatalità. Ai politici dico: siate eretici.

Da lavialibera n°5 settembre/ottobre 2020

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