(Andrea Piacquadio/Pexels)
(Andrea Piacquadio/Pexels)

Perché prenderci cura degli anziani?

L'idea di fregarsene di tutto e di tornare alla vita di tutti i giorni era allettante, in fondo chi non avrebbe voluto farlo?

Giacomo Carpinteri

Giacomo Carpinteristudente di Giurisprudenza all’Università di Catania

10 settembre 2020

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La conta dei morti per il Covid-19 è stata inesorabile, eppure, fin dall’avvio del lockdown, si è assistito a uno strano fenomeno. Tralasciando le teorie complottiste che contestano l’esistenza del virus e ritengono che tutto ciò sia una montatura, credo che valga la pena parlare della reazione che molti under 30 hanno avuto di fronte alla pandemia.  

Quando la notizia della diffusione del virus in Cina iniziava a essere di dominio pubblico, ci è stato detto di non preoccuparci troppo perché si trattava di un’influenza poco più contagiosa delle altre. Questa lettura, smentita dai fatti successivi, si è poi trasformata nel "state a casa perché i malati e gli anziani rischiano la vita". Il messaggio complementare, più o meno esplicito, era che i giovani in buona salute non avrebbero rischiato nulla o quasi dalla pandemia. Tuttalpiù avrebbero preso il virus e, da asintomatici, nemmeno se ne sarebbero accorti.

Questa narrazione ha avuto l’effetto di metterci nella posizione per cui noi, né anziani né malati, avremmo dovuto sacrificare parte delle nostre libertà e del nostro stile di vita per gli altri. Un pensiero nobile e comprensibile che, però, non è detto che tutti condividano. Anzi, in alcuni casi proprio la mancanza di paura ha reso insofferenti chi non aveva alcuna voglia di rinunciare al proprio modo di vivere per fare un “favore” ad altri.

Quando è stata riconosciuta la pandemia e sono iniziate quarantene e limitazioni, mi trovavo in Erasmus in Polonia e ho potuto osservare da vicino la reazione che tanti miei coetanei, provenienti da diverse parti del mondo, hanno avuto alla notizia.

Generazione Z è la rubrica nata per dare voce ai giovani nati dopo il 1995

All’inizio del lockdown molti ragazzi, soprattutto chi proveniva da paesi apparentemente meno colpiti dal virus, quasi ci prendevano in giro – noi italiani – perché considerati “troppo premurosi”. Il mood era: "Questo è il mio Erasmus e non vedo perché devo rinunciarci". Ricordo anche un paio di festini organizzati da altri studenti Erasmus, nel pieno del contenimento sociale, tanto eclatanti da essere stati interrotti dalla polizia. Quel ricordo si sovrappone a quello di diversi video, tra cui quello virale del presidente della Campania, Vincenzo De Luca, che parlava delle feste di laurea e della necessità di mandarci i "Carabinieri coi lanciafiamme". L’idea di fregarsene di tutto e di tornare alla vita di tutti i giorni era allettante, in fondo chi non avrebbe voluto farlo? Che molti lo abbiano fatto davvero invece mi porta a pensare che la società in cui viviamo è peggiore di quel che ci piace immaginare. Credo ci sia molto lavoro da fare. 

A scanso di equivoci e per non essere ipocrita: questa pandemia non mi ha spaventato fino a quando non si è iniziato a dire che non era proprio vero che i “giovani” sono immuni alla malattia; anch’io nell’ultimo mese in Polonia ho viaggiato, azzerando le precauzioni prese. E anche adesso, a volte, faccio fatica a darmi dei limitarmi, tendo a rimuovere, quasi che tutto ciò che è successo sia ormai un lontano ricordo.

Da lavialibera n°4 luglio/agosto 2020

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