(Loes ten Den - Unsplash)
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Stidda, storia della mafia dei ribelli

A fine anni Ottanta alcuni giovani non vogliono più ordini dai vecchi boss. Comincia una lotta fra una nuova organizzazione e Cosa nostra. Dopo anni, sono in pace e si spartiscono affari

Giuseppe Bascietto

Giuseppe BasciettoGiornalista freelance

Paolo Borrometi

Paolo BorrometiVicedirettore dell'Agenzia giornalistica Italia (Agi)

30 gennaio 2020

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Figli di boss della stidda che si ubriacano, si drogano e uccidono due bambini di 11 e 12 anni: Simone e Alessio D’Antonio. Succede a Vittoria (Ragusa) l’11 luglio del 2019, dove da anni la stidda, che in siciliano significa “stella”, domina incontrastata. I rampolli in questione sono Rosario Greco e Angelo Ventura, figli di Elio Greco, capo della stidda, e di Titta Ventura, esponente di spicco dei clan criminali vittoriesi. Un episodio, quello dei bambini, che riporta alla memoria quello accaduto a Niscemi (Caltanissetta) il 27 agosto 1987 quando i killer di stidda e Cosa nostra, che si inseguivano sparandosi dalle auto lanciate a folle velocità per le strade della città, uccidono Giuseppe Cutruneo, 8 anni, e Rosario Montalto, 11 anni. Stavano giocando per strada vicino alle proprie abitazioni nel centro di Niscemi. Come Simone e Alessio. Due episodi che sembrano non avere nulla in comune. In realtà entrambi i crimini sono commessi da stiddari, ossia da esponenti di una nuova mafia che dall’inizio degli anni Ottanta domina incontrastata il palcoscenico criminale della fascia meridionale della Sicilia.

La guerra a Cosa nostra

Tutto comincia intorno alla seconda metà degli anni Ottanta quando ragazzi minorenni che non vogliono più prendere ordini da nessuno decidono che è arrivato il momento di attaccare Totò Riina, capomafia tra i più spietati. Così la guerra scoppia violentissima. Un botta e risposta quasi giornaliero dove la rivolta è segnata dalla sistematica eliminazione fisica dei capimafia e dalla sempre più penetrante presa di potere da parte degli stiddari nelle varie province siciliane, esclusa Palermo. Qui la stidda non c’è. Negli anni Cosa nostra è stata oggetto di una vera strategia di sterminio da parte della stidda che con ferocia e determinazione ha tentato di sostituirsi alla mafia tradizionale nella gestione delle attività illecite, colpendo con cieca furia criminale i loro esponenti che facevano addirittura fatica a capire la provenienza dell’attacco. Fra il 1988 e il 1992 i giovani stiddari decapitano i vecchi capimafia, tutti ormai ultra sessantenni.

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La paranza siciliana

C’è una paranza dei bambini, come quella raccontata da Roberto Saviano a Napoli, anche in Sicilia, molto tempo prima. Un’organizzazione di minorenni che in trenta mesi lascia sul terreno oltre 500 morti ammazzati. L’idea di arruolare bambini e addestrarli arriva dal capo della stidda di Vittoria, Claudio Carbonaro, che in una riunione con i clan di Gela, Niscemi, Riesi, Mazzarino, Butera, Porto Empedocle, Palma di Montechiaro e Agrigento sostiene che bisogna "fare una cosa che non era mai stata fatta prima di allora". Prendere bambini di 11-12 anni, mettergli una pistola in una mano, 500 mila lire nell’altra, addestrarli a colpire i bersagli e sguinzagliarli in tutta la Sicilia. In un ambiente dove i tradimenti sono all’ordine del giorno, anche arruolare dei bambini e farli diventare assassini può fare la differenza tra vivere e morire. D’altra parte i mafiosi non si aspetterebbero mai un attacco da parte dei carusi. Li vedono giocare a calcio o rincorrersi per le strade e non sospettano che quegli stessi bambini che ridono e corrono sono assassini al servizio della stidda.

Per vincere questa guerra gli stiddari sono disposti a tutto. Spietati, veloci e spettacolari nelle esecuzioni. Inizia così, in Sicilia, la guerra contro l’ala stragista dei corleonesi di Riina che in poco tempo trasforma la fascia meridionale dell’isola in un campo di battaglia con centinaia di morti ammazzati e feriti da ambo le parti. In gioco c’è molto più che il controllo del territorio o del traffico della droga. In ballo c’è la possibilità di sostituirsi ai vecchi capimafia e diventare i nuovi referenti di Cosa nostra. Per tutti è solo una questione di affari. Niente di più. Dopo la "strage di Gela" del 1990, la reazione dello Stato è durissima. Così stiddari e mafiosi di Cosa nostra siglano la pace, non solo dalla guerra, ma anche spartendosi la gestione dei principali settori criminali.

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Nuovi disegni criminali

Negli ultimi anni la stidda si è consolidata sostituendosi a Cosa nostra in alcuni casi e divenendone la referente in altri. A lanciare l’allarme sono gli investigatori con le operazioni di polizia Stella cadente e Plastic free, di settembre e ottobre 2019, compiute tra Gela (Caltanissetta) e Brescia, da un lato, e Vittoria (Ragusa) dall’altro.

Dall’operazione Stella cadente emerge che gli stiddari erano pronti a scatenare un’altra guerra di mafia contro Cosa nostra, potendo contare su 500 “leoni”. Era pronto un esercito di uomini armati disposti a mettere di nuovo a ferro e fuoco Gela e la Sicilia. Gli arresti sono stati eseguiti in diverse città italiane, tra cui Brescia, dove si trovavano alcuni dei fiancheggiatori dei nuovi-vecchi stiddari. Qui lo scorso ottobre un’altra importante operazione antimafia, denominata Leonessa, ha individuato la presenza di una cosca mafiosa di matrice stiddara "che ha pesantemente inquinato diversi settori economici".

Tra gli arrestati dell’operazione Plastic free c’è, invece, Claudio Carbonaro, vecchio capo della stidda di Vittoria negli anni Ottanta, tornato, secondo gli inquirenti, a riorganizzare il clan. Collaboratore di giustizia dagli anni Novanta, reo confesso di vari omicidi, una volta tornato in libertà ha deciso di investire nel settore del riciclo della plastica garantendo al nuovo clan un volto diverso dalla precedente fama sanguinaria. Un affare milionario arrivato fino in Cina, dove imprese compiacenti avrebbero smaltito illecitamente i rifiuti plastici esportati dalla Sicilia, utilizzati per la fabbricazione di scarpe da importare e commercializzare poi in Italia. Mentre a Gela si pensava a scatenare una nuova guerra, a Vittoria si pensava agli affari.

Da lavialibera n° 1 gennaio/febbraio 2020

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