
"Così sono finito nelle mani della 'ndrangheta"

28 luglio 2020
Per molti europei parlare di traffico di migranti significa parlare di Libia: gli orrori dei centri di detenzione, la violenza delle milizie, i trafficanti senza scrupoli. Tutti conosciamo queste storie e negarne la crudezza sarebbe impossibile. Pensare, però, che questo corrisponda fedelmente alla realtà è altrettanto illusorio. La rappresentazione iper-mediatizzata dell’immigrazione irregolare ha semplificato all’estremo un fenomeno molto più complesso di quel che appare. Dalla Libia arriva un’unica narrativa: quella della sicurezza e della violenza. I migranti sono concepiti esclusivamente come attori passivi, mentre continuano a essere ignorate le loro interazioni, i contesti in cui la domanda di mobilità emerge e le dinamiche che la caratterizzano.
La prima volta che mi sono imbattuta in un trafficante frequentavo l’università. Ero riuscita a ottenere un permesso per lasciare il Messico e lavoravo per l’Alta corte dell’Arizona. Era il 2005 e nel Paese era appena stata approvata la cosiddetta legge del coyote per contrastare i trafficanti di migranti sul confine tra Messico e Stati Uniti (chiamati in gergo, appunto, coyote). L’unica esperienza che avevo era quella della mia famiglia, migrata prima di me attraverso quelle stesse vie illegali; non avevo altre esperienze professionali, ma parlavo spagnolo, così mi mandarono a intervistare i trafficanti che si trovavano in prigione in attesa di processo. Non ci volle molto per rendermi conto che i loro racconti cozzavano con la percezione della Corte: invece che parlare dei crimini legati ai loro viaggi, gli uomini e le donne che intervistavo raccontavano di obiettivi di vita, dei loro desideri e di come la migrazione irregolare fosse un modo per raggiungerli. C’erano madri single e anziani. Quasi tutti lavoravano per compiti specifici legati alla buona riuscita dei viaggi: servizi di trasporto e di alloggio, fornitura di pasti. Il loro unico comune obiettivo era quello di sostenere le proprie scarse entrate. Più che trafficanti, erano facilitatori dei viaggi dei migranti.
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