Elly Schlein: "L'ipocrisia di chi dice aiutiamoli a casa loro"

La vicepresidente dell'Emilia-Romagna, ed ex euro-parlamentare, accusa i falsi europeisti che potrebbero portare avanti le riforme necessarie sul diritto d'asilo in Europa, ma non lo fanno

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

21 luglio 2020

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“Agli ipocriti che dicono ‘Aiutiamoli a casa loro’, ribatto che possiamo fare tanto già a casa nostra”. E per Elly Schlein, attuale vicepresidente dell'Emilia Romagna ed ex eurodeputata, l’unica casa possibile è l’Europa, cui “servono politiche estere, fiscali e commerciali più coerenti”, e “un’urgente riforma del regolamento di Dublino”, il principale documento adottato dall’Unione in tema di diritto d’asilo, “che al momento si basa su una logica punitiva sia per i richiedenti protezione internazionale sia per i Paesi di frontiera”.

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Schlein, 35 anni, quell’ipocrisia l’ha toccata con mano quando dal 2014 al 2019 ha seduto tra i banchi del Parlamento europeo. Eletta con il Pd, è poi passata a Possibile, portando con sé la cifra del suo impegno politico: la garanzia dei diritti di chi si sposta da un Paese all’altro perché scappa da guerre e persecuzioni o è in cerca di un’opportunità. Un impegno che tocca corde personali: “Agli inizi del secolo scorso mio nonno è emigrato da Leopoli, in Ucraina, agli Stati Uniti e io sono cresciuta a Lugano, in Svizzera, in un Paese di cui non ero cittadina e dove ho frequentato scuole in cui negli anni Novanta erano presenti tante nazionalità: una grande palestra che mi ha fatto capire l’importanza di avere eguali opportunità”. Da qui una laurea in giurisprudenza, con doppia tesi sui diritti degli stranieri, e anni di attivismo universitario che l’hanno impegnata, tra le altre cose, nell’organizzazione di un festival che aveva l’obiettivo di sfatare i luoghi comuni sull’immigrazione attraverso i dati. “Certo, non mi sarei mai aspettata di arrivare in Europa e avere l’occasione di mettere mano ad alcune delle grandi ipocrisie che fanno sì non esista una solidarietà europea nei confronti dei migranti”. Invece la chance c’è stata. Anche se oggi, tracciando un bilancio dell’esperienza, definisce quegli anni “duri” e “amari”.

Assenza d’Unione

"L’incapacità di reagire come Unione alla richiesta di aiuto delle persone in difficoltà in arrivo dai Balcani e via mare ha ferito anche me, una convinta federalista europea"

Sono stati gli anni in cui l’Unione ha vacillato sotto i colpi della Brexit e si è ripiegata su se stessa, puntando sull’esternalizzazione delle proprie frontiere e lasciando il Mediterraneo senza un’operazione di ricerca e soccorso. “Ho assistito all’incapacità di reagire insieme alla richiesta di aiuto delle persone in difficoltà in arrivo dai Balcani e via mare che ha ferito pure me, una convinta federalista europea – ammette Schlein –. Ma abbiamo ottenuto anche risultati importanti, seppur ancora incompiuti, come l’approvazione di una riforma del regolamento di Dublino da parte del Parlamento, nel 2017”.

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La riforma, di cui è stata relatrice per il gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici, è una delle sue battaglie politiche più importanti. La considera "il primo passo" per avere il minimo indispensabile, cioè un sistema europeo comune d'asilo che assicuri il diritto di chiedere protezione internazionale nell’Unione e allo stesso tempo chiami tutti i Paesi a fare la loro parte. L’attuale regolamento è stato pensato per impedire che la domanda venga presentata in più di uno Stato membro, ma prevede criteri talmente stringenti da far sì che, salvo rare eccezioni, il Paese responsabile a esaminarla sia quello di primo ingresso in territorio Ue, ovvero quello in cui il migrante, fermato dalle forze dell’ordine, ha dovuto per la prima volta lasciare le proprie impronte digitali poi inserite nella banca dati europea, Eurodac.

L’ingiustizia di Dublino

Un sistema che è stato criticato dal Consiglio europeo per i rifugiati e dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati perché non tiene conto dei legami familiari dei richiedenti asilo, che così devono vivere lontano dai parenti già residenti in Europa, e non fornisce una protezione efficiente: incanalando tutte le domande in pochi Paesi, il meccanismo attuale rende biblici i tempi di revisione e possibili le ingiuste esclusioni. Inoltre, negli scorsi anni sono state centinaia le persone costrette a tornare nello Stato di primo ingresso dopo essersi rifatte una vita altrove.

"Se nei Paesi di frontiera è cresciuta l’intolleranza, se abbiamo visto alcuni Governi compiere l’indegna scelta di chiudere i porti e non soccorrere i migranti in mare, è stato anche per via di Dublino"

Per ribadirne l’ingiustizia Schlein ricorre a un’immagine, quella dei cittadini eritrei che nel 2015 a Lampedusa hanno fatto uno sciopero della fame chiedendo non venissero prese le loro impronte. “La riforma prevede il superamento dell’attuale paradigma – spiega –. Il criterio del primo punto d’accesso viene cancellato. Ogni Stato dell’Unione ha una quota obbligatoria di richieste da esaminare e la domanda è ricollocata nel luogo in cui il richiedente ha legami familiari, con un allargamento del concetto di famiglia che include anche fratelli e sorelle nonché figli adulti in carico ai genitori, o legami significativi come un precedente periodo di lavoro o studio. Per chi, invece, non ha legami scatta un meccanismo automatico che lascia un margine di scelta tra quattro nazioni. Il che da una parte garantisce i diritti dei richiedenti asilo, dall’altra solleva da tutta la pressione chi si trova ai confini caldi dell’Unione. È importante perché se in questi Paesi è cresciuta l’intolleranza, se abbiamo visto alcuni Governi compiere l’indegna scelta di chiudere i porti e non soccorrere i migranti in mare, è stato anche per via di Dublino”.

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Se la revisione è stata approvata a larga maggioranza dal Parlamento, non si può dire altrettanto del Consiglio, composto dai ministri degli Esteri dei Paesi Ue, dove è tutt’ora arenata. Una mancanza di accordo che Schlein definisce “vergognosa” e ha tra i principali responsabili gli Stati del gruppo Visegrad: Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia. “Sono furiosa con loro, perché sembrano aver dimenticato la loro storia, ma mi arrabbio ancora di più con gli europeisti di facciata, come il premier francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel, che avrebbero la forza politica di portare avanti le modifiche, invece non lo fanno”. L’Italia, durante l’iter, ha cambiato tre governi ed è difficile generalizzare, ma vale la pena menzionare il comportamento dell’ex ministro degli Interni Matteo Salvini: “In patria faceva il difensore degli interessi nazionali, poi però la Lega ha disertato 22 riunioni negoziali sulla riforma, che per noi sarebbe stata vantaggiosa”.

L’Europa che vorrei

Nonostante le delusioni Schlein nell’Europa crede ancora, anzi di più: “L’unico modo per consegnare un futuro di convivenza pacifica alle nuove generazioni è creare quell’Unione che fino ad ora qualche governo non ha voluto fare davvero. Anche giornali, associazioni, sindacati, e partiti devono diventare più europei”.

"L’unico modo per consegnare un futuro di convivenza pacifica alle nuove generazioni è creare quell’Unione che fino ad ora qualche governo non ha voluto fare davvero. Anche giornali, associazioni, sindacati, e partiti devono diventare più europei"

Per raggiungere l’obiettivo l’astro nascente della sinistra italiana, come l’ha definita il quotidiano El País, pensa che l’elenco delle cose da fare per i migranti sia ancora lungo. Non solo una cornice europea che stabilisca vie legali e sicure di accesso nell’Ue per chi è in cerca di asilo o di lavoro, ma anche politiche commerciali e fiscali più coerenti. “Bisognerebbe impedire alle aziende europee di fare accordi sbilanciati per ottenere agevolazioni fiscali nei Paesi africani: una pratica che scatena una pericolosa corsa al ribasso, sottraendo risorse allo sviluppo delle comunità locali. Secondo un rapporto dell’Unione africana, negli ultimi cinquant’anni questi Stati hanno perso mille miliardi di dollari per flussi finanziari illeciti, come corruzione ed elusione fiscale. Se si pensa che in quel lasso di tempo la cifra destinata agli aiuti allo sviluppo è stata la stessa, in pratica si dà con una mano ciò che si toglie con l’altra”.

Prima di lasciarla, la provochiamo con una domanda: l’abolizione totale delle frontiere è un’utopia? Schlein sospira, prende una lunga pausa, controlla il cucciolo di cane che non sta bene, poi risponde: “Vorrei che fossero garantiti i diritti già previsti nei trattati. Al momento, mi basterebbe questo”.

Da lavialibera n° 3 maggio/giugno 2020

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