Il clima è già cambiato

La tragedia di Palermo ci insegna che sono le città i luoghi più a rischio per le conseguenze dei cambiamenti climatici

Peppe Ruggiero

Peppe RuggieroVicedirettore lavialibera

16 luglio 2020

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Paura, fango e disperazione: tre parole riassumono la tragedia di Palermo. Una pioggia – considerata un evento eccezionale – ha ancora una volta seminato dolore e terrore. Ma al di là del destino cinico e baro, giustificazione spesso usata davanti all'eccezionalità di questi eventi, le immagini di Palermo parlano chiaro e dicono che il clima è già cambiato: a dispetto di ogni negazionismo, l'emergenza climatica è ben visibile. "Quello che è successo a Palermo deve far riflettere – ha dichiarato il ministro dell'Ambiente Sergio Costa –. Molti la chiamano “bomba d'acqua”, io credo, invece, che questi eventi siano la risposta del Pianeta ai cambiamenti climatici".

Cambiamento climatico: cos'è e perché occuparsene

Le analisi confermano l’aumento della temperatura in ogni parte del pianeta e, in parallelo, il ripetersi con sempre maggiore frequenza e intensità di fenomeni atmosferici di una dimensione tale che nessuno può più permettersi di negare o far finta di non vedere. E la tragedia di Palermo ci insegna che sono le città l’ambito più a rischio per le conseguenze dei cambiamenti climatici. Perché è nelle aree urbane, dove vive la maggioranza della popolazione, che l’intensità e frequenza di fenomeni meteorologici estremi sta determinando danni crescenti a edifici e infrastrutture, mettendo in pericolo vite umane. Le nostre città e in particolare quelle del Sud sono "esplose” più che crescere negli anni. Sviluppate su aree e versanti fragili, con edificazioni di interi quartieri spesso fuori norma o in assenza di analisi geologiche dei terreni.

La conferma arriva dal bilancio clima 2019 stilato da Legambiente. Due le parole chiave: più eventi estremi e più caldo. Nel 2019 il nostro Paese è stato segnato da nubifragi, siccità, ondate di calore sempre più forti e prolungate, fenomeni meteorologici intensi ed estremi dovuti ai cambiamenti climatici: ben 157 gli eventi estremi che si sono succeduti e in cui hanno perso la vita 42 persone. Un bilancio in crescita rispetto a quello del 2018 che aveva registrato 32 vittime e 148 eventi estremi. Inoltre, il 2019 è stato caratterizzato da 85 casi di allagamenti da piogge intense, 54 casi di danni da trombe d’aria (in forte aumento rispetto alle 41 del 2018), cinque frane causate da piogge intense e 16 esondazioni fluviali.

Nel nostro Paese sono a rischio idrogeologico medio o elevato il 91 per cento dei Comuni e 7 milioni e mezzo di italiani. Nel secondo numero de lavialibera, l'intervista al ministro dell'Ambiente Sergio Costa

Di fronte a uno scenario di questo tipo è evidente che occorre un salto di scala nell’analisi, nell'informazione e nella sensibilizzazione rispetto a fenomeni che riguardano il territorio italiano e il resto del mondo. Perché se oggi è condivisa l’idea che stiano aumentando fenomeni meteorologici estremi, abbiamo bisogno di capire dove e come questi fenomeni sono avvenuti, quali caratteri hanno assunto e potrebbero assumere in futuro.

Siamo consapevoli che l’Italia non è tutta uguale di fronte ai rischi del cambiamento climatico: esistono situazioni differenti nelle diverse parti del Paese e tra le città e uno stesso fenomeno – da una pioggia violenta a un’ondata di calore – può provocare conseguenze diverse in relazione alle caratteristiche idrogeologiche dei territori coinvolti, e di quanto e come si è costruito. È per questo motivo che il Paese ha bisogno di cambiare strada, ridefinendo le priorità e individuando le risorse necessarie.

Cambiamento climatico, dissesto idrogeologico, abusivismo edilizio. Ne abbiamo parlato con il ministro dell'Ambiente Sergio Costa e il presidente di Legambiente Stefano Ciafani

Se è condivisa l’urgenza della messa in sicurezza, è del tutto evidente che larga parte dei progetti che vengono portati avanti sono inadeguati rispetto alle nuove sfide che i cambiamenti climatici pongono con sempre maggiore urgenza. Non è continuando a intubare o deviare i fiumi, ad alzare argini o asfaltare altre aree urbane che possiamo dare risposta a equilibri climatici ed ecologici complessi che hanno bisogno di approcci diversi e strategie di adattamento. È in questa direzione che vanno le politiche comunitarie e i piani clima delle città europee, ed è ora che anche l’Italia e le sue città si muovano in questa direzione. Come richiesto da Legambiente, il 2020 deve essere l’anno in cui si approva finalmente un piano nazionale di adattamento al clima, come hanno fatto gli altri Paesi europei, in modo da intervenire nelle aree più a rischio e coordinare le politiche di riduzione del rischio sul territorio, oggi disperse tra programmi e cantieri spesso inutili.

Davanti al disastro di Palermo, non esistono più alibi o scuse per rimanere fermi: disponiamo delle competenze e delle soluzioni progettuali per aiutare i territori e le città ad adattarsi ai cambiamenti climatici e mettere in sicurezza le persone. A patto di schierare in campo  una classe dirigente che metta in primo piano gli interessi collettivi a lungo termine invece di  quelli elettorali di breve periodo.

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