Migranti su un gommone nel Mediterraneo il 5 maggio 2018, nel corso di un intervento della Sea Watch (Foto di Tim Luddeman - Flickr)
Migranti su un gommone nel Mediterraneo il 5 maggio 2018, nel corso di un intervento della Sea Watch (Foto di Tim Luddeman - Flickr)

Migrazioni: cosa cambia e dovrà cambiare nelle leggi

Modificate le norme volute dall'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini, ma alcuni aspetti non soddisfano le ong. Dalla Commissione europea arriva un "patto" che deve essere votato dagli europarlamentari

Serena Chiodo

Serena ChiodoGiornalista freelance e mediatrice culturale

Youssef Hassan Holgado

Youssef Hassan HolgadoGiornalista freelance

30 novembre 2020

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“Approvato in Consiglio dei Ministri il decreto immigrazione. I decreti propaganda/Salvini non ci sono più”. Con questo tweet il segretario del Pd Nicola Zingaretti salutava, a inizio ottobre, la ratifica del decreto legge 130, entrato in vigore il 22 ottobre del 2019. In realtà, i ‘decreti sicurezza’ cui faceva riferimento Zingaretti - voluti dall’ex ministro degli Interni Matteo Salvini e convertiti in legge nel dicembre 2018 - non sono stati abrogati, bensì modificati.

Da pochi giorni in Gazzetta ufficiale, il testo contiene "disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare" e interviene su alcuni punti specifici, già evidenziati dalla Corte Costituzionale e dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, pur promulgando i decreti, in una lettera ai presidenti di Camera, Senato e Consiglio ne sottolineava alcune criticità.

Diversi erano infatti i nodi e proprio la cancellazione dei provvedimenti approvati dal governo giallo-verde rappresentava uno dei punti programmatici del nuovo esecutivo nato nel settembre 2019. Le continue mediazioni tra le diverse anime del governo e le resistenze del M5s hanno impedito l’abrogazione dei decreti e ritardato le modifiche, pronte già a luglio, alla chiusura delle elezioni regionali di fine settembre per renderle operative.

Un intervento della Sea Watch nel Mediterraneo il 5 maggio 2018 (Foto di Tim Luddeman - Flickr)
Un intervento della Sea Watch nel Mediterraneo il 5 maggio 2018 (Foto di Tim Luddeman - Flickr)

Cosa cambia effettivamente

1) Soccorso in mare. I ‘decreti sicurezza’ avevano pesantemente colpito le ong attive nelle operazioni di ricerca e soccorso (Search and rescue, Sar), prevedendo sanzioni fino a un milione di euro “in caso di violazione del divieto di ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane”. Il decreto legge 130 elimina le sanzioni amministrative che erano state introdotte, compresa la confisca della nave, e mantiene quelle penali, con riferimento al codice della navigazione. Le multe vengono abbassate a un massimo di 50mila euro, data soltanto al termine di un processo.

La competenza sul divieto di ingresso nelle acque territoriali di navi battenti bandiera straniera, che Salvini aveva spostato al Viminale, torna al ministero dei Trasporti: sarà suo compito dialogare con la Difesa e l’Interno, che dal canto suo potrà proporre un divieto per ragioni di sicurezza pubblica. Non si prevedono sanzioni o interdizioni in caso di operazioni di soccorso “immediatamente comunicate alle autorità italiane e dello Stato di bandiera, e condotte nel rispetto delle indicazioni del competente centro di coordinamento dei soccorsi in mare”. Un aspetto, quest’ultimo, particolarmente controverso, perché non esclude la possibilità che a fornire indicazioni alle ong sia la Libia, Paese che non si può considerare sicuro (per un approfondimento si veda il dossier di Amnesty International Tra la vita e la morte: il circolo vizioso di crudeltà nei confronti di rifugiati e migranti in Libia).

Dal canto loro, le ong impegnate nelle operazioni Sar sottolineano la persistenza di un approccio che stigmatizza i soccorsi. “Le multe vengono ridotte ma rimane il principio di criminalizzazione delle ong”, commenta Medici senza frontiere, cui fa eco Seawatch: “Questo governo mantiene il pregiudizio nei confronti dell’attività di soccorso, altrimenti avrebbe cancellato del tutto le multe”.

Dall'inizio dell'anno alla metà di giugno l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati ha contato 248 migranti morti e scomparsi nel Mediterraneo

2) Protezione internazionale. Se i ‘decreti sicurezza’ hanno eliminato la protezione umanitaria, il nuovo testo prevede l’introduzione della “protezione speciale”. Durerà due anni e potranno accedervi anche le persone che hanno perso il documento a causa della precedente normativa. Una possibilità prevista però solo per chi ha ora un procedimento in corso, e non per tutte le persone che hanno perso la propria posizione regolare a causa dell’eliminazione della protezione umanitaria: sono circa 140mila uomini e donne secondo i centri studi Idos e Confronti che nel Dossier statistico immigrazione 2020 evidenziano “l'aumento del numero dei non comunitari scivolati nell’irregolarità": "Già stimati in 562.000 alla fine del 2018, quando è entrato in vigore il primo decreto sicurezza, si è calcolato che, proprio per effetto di quest’ultimo, sarebbero cresciuti di 120-140.000 nei due anni successivi”.

Il testo si inserisce inoltre nella normativa vigente, prescrive il divieto di espulsione e respingimento nel caso in cui la persona rischi di essere torturata dopo il rimpatrio: a questa ipotesi il dl 130 aggiunge il divieto di rimpatrio nel caso in cui ci sia il rischio di trattamenti inumani o degradanti o nel caso in cui con l’espulsione si violi diritto al rispetto della vita privata e familiare.

3) Convertibilità del permesso di soggiorno. Il provvedimento prevede che possano essere convertiti in permessi di soggiorno per lavoro i documenti rilasciati per protezione speciale, calamità, residenza elettiva, acquisto della cittadinanza o dello stato di apolide, attività sportiva, lavoro di tipo artistico, motivi religiosi e assistenza ai minori.

4) Iscrizione anagrafica. Il testo interviene su quanto già sottolineato dalla Corte costituzionale: con una sentenza dello scorso luglio definiva illegittima la norma del primo ‘decreto sicurezza’ che precludeva l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo. Il nuovo decreto elimina tale divieto.

5) Accoglienza. Viene ripensato il sistema di accoglienza per titolari e richiedenti protezione internazionale, tornando di fatto all’accoglienza diffusa sul territorio nazionale, a bassa soglia, gestita dai comuni su base volontaria: prima definito Sprar, poi Siproimi, e ora Sai (Sistema di accoglienza e integrazione). Ci rientreranno non solo minori e beneficiari di protezione internazionale, ma anche i richiedenti asilo che i ‘decreti sicurezza’ avevano confinato nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas).

Dalla prima assistenza nei centri governativi ordinari e straordinari si passerà a un sistema di servizi diviso su due livelli:

  • uno incentrato sull’accoglienza materiale, l’assistenza sanitaria, sociale e psicologica, la mediazione linguistico-culturale, i corsi di italiano e i servizi di orientamento legale;
  • l’altro, da cui sono esclusi i richiedenti asilo, comprende anche l’orientamento al lavoro e la formazione professionale.

Un passo in avanti verso il superamento del sistema emergenziale dei Cas, di cui ancora però non si prevede lo smantellamento.

6) Cittadinanza. Se i ‘decreti Salvini’ avevano allungato da due a quattro anni i tempi di risposta alle domande di cittadinanza, il nuovo provvedimento li abbassa a tre. “Quattro o tre anni sono troppi per avere una risposta”, così commentava Italiani Senza Cittadinanza, movimento che dal 2016 si batte per sollecitare una modifica della normativa. “Per noi Italiani non riconosciuti il testo del nuovo decreto e la proposta di legge vanno migliorati”, affermavano lo scorso 2 novembre a margine dell’audizione presso la Camera dei deputati, rimarcando l'esigenza di eliminare “ostacoli e accanimenti che nel 2018 avevano addirittura peggiorato la legge sulla cittadinanza”. Una normativa già di per sé obsoleta e anacronistica, come scrivevamo qui.

7) Cpr. Le persone prive di regolare permesso di soggiorno continueranno a essere trattenute nei Centri per il rimpatrio (Cpr, ex Cie). Cambiano i tempi: dai 180 giorni massimi previsti dai ‘decreti Salvini’ a 90, prorogabili di altri 30 se lo straniero è cittadino di un Paese con cui l’Italia non ha accordi in materia di rimpatri.

Oltre un milione le persone sono nate nel nostro Paese da genitori di altra nazionalità. Lo Stato continua a non considerarle cittadine a pieni diritti

Modifiche troppo caute e un cambiamento che stenta ad arrivare

Un passo in una direzione di maggior rispetto dei diritti umani, ma siamo ancora lontani da una riforma organica volta a gestire le migrazioni come un fenomeno strutturale e non più emergenziale o di ordine pubblicoEmergency

Le realtà impegnate nella tutela dei diritti hanno reagito al dl 130 in modo corale, esprimendo una parziale soddisfazione affiancata però dalla sollecitazione a fare di più. “La recente riforma dei decreti sicurezza ha abolito alcuni degli aspetti della precedente normativa, che regolamentava in maniera irrazionale, inconcludente e disumana l’accoglienza dei migranti. Tuttavia, non possiamo dirci pienamente soddisfatti”, commentano il Forum per cambiare l’ordine delle cose e Grei250 che, insieme ad altre realtà, portano avanti un percorso di pressione politica. In questo si inserisce l’elaborazione di diversi emendamenti al testo, tra cui emerge l’eliminazione della “lista dei Paesi sicuri” e la necessità di vincolare le operazioni di soccorso in mare al solo centro di coordinamento italiano. Punti su cui si spera di riuscire a pesare nei due mesi di tempo che ha il parlamento per convertire in legge le norme.

Anche secondo l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) il testo presenta “aspetti eterogenei e contraddittori: alcune luci e molte ombre che esigono immediate modifiche importanti in sede di conversione in legge”. Asgi ha presentato le sue proposte di cambiamento nell'audizione alla Commissione Affari costituzionali della Camera il 5 novembre.

Mediterranea Saving Humans indica gli “equilibri politici nei quali si dibatte il governo attuale” come responsabili di un mancato intervento “sull’impianto politico culturale nel suo complesso, che andrebbe radicalmente cambiato”.

Dello stesso avviso Emergency: secondo la ong il dl 130 è “un passo in una direzione di maggior rispetto dei diritti umani, ma siamo ancora lontani da una riforma organica volta a gestire le migrazioni come un fenomeno strutturale e non più emergenziale o di ordine pubblico”. È, di fatto, il superamento della legge Bossi-Fini la sollecitazione che arriva dalla società civile, in un’ottica che, allargando lo sguardo, impone la revisione dell’approccio securitario non solo a livello nazionale, bensì europeo.

Lo sottolinea il Tavolo Asilo, coordinamento di organizzazioni impegnate nell’accoglienza e integrazione dei migranti: definisce il decreto “un passo avanti nel rispetto dei diritti delle persone migranti” e sottolinea come “molto resti ancora da fare per assicurare un’accoglienza dignitosa su tutto il territorio nazionale e la piena integrazione sociale e lavorativa”. Nel documento inviato alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e al vice ministro Matteo Mauri, sollecita un “cambio di rotta nelle politiche su migrazioni e asilo sul piano europeo”.

"È stato un lavoro lungo e complesso che ha dato i suoi frutti", ha detto il ministro Luciana Lamorgese in un'intervista a lavialibera

Il nuovo patto europeo

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea

Nessuno Stato membro dovrebbe accollarsi una responsabilità sproporzionata e che tutti gli Stati membri dovrebbero contribuire alla solidarietà su base costanteCommissione europea

Proprio sul livello europeo, è recente l’elaborazione del nuovo Patto sull’immigrazione e l’asilo presentato lo scorso 23 settembre a pochi giorni prima della Giornata della memoria e dell’accoglienza, istituita per ricordare e commemorare tutte le vittime dell’immigrazione e promuovere iniziative di sensibilizzazione e solidarietà. La commemorazione cade il 3 ottobre, in ricordo di quanto avvenuto in quello stesso giorno del 2013: un barcone con centinaia di migranti a bordo affondò nelle acque del Mediterraneo a poche miglia da Lampedusa. Morirono 368 persone, tra di loro donne, bambini e uomini. Quella data sembrava aver lasciato un segno indelebile nella coscienza comune europea e i governi iniziarono un dialogo interno per adottare una nuova governance in materia di immigrazione e asilo. Quel dialogo però non ha portato a una visione comune, solidale e inclusiva. Due anni dopo, nel 2015, attraversarono le frontiere europee circa 1,82 milioni di persone. La maggior parte erano siriani in cerca di un rifugio dalla guerra scoppiata nel 2011.

La Commissione, organo esecutivo dell’Unione europea, sotto il mandato del lussemburghese Jean Claude Juncker ha provato a dare vita a un testo normativo che potesse mettere d’accordo l’ala più liberale e progressista di Francia, Germania, Italia e Spagna con quella più conservatrice e populista dei Paesi del gruppo di Visegrad. L’accordo non ha mai visto l’alba, fino a quando Juncker, il 30 novembre del 2019, non ha lasciato la poltrona alla belga Ursula Von Der Leyen. In meno di un anno, la neopresidente ha dato vita a un nuovo Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo presentato lo scorso 23 settembre, nei giorni conseguenti all’incendio nel campo profughi di Moria in Grecia.

Patto Ue su migrazione e asilo, cosa (non) cambia

I contenuti del piano europeo

La nuova proposta riconosce che “nessuno Stato membro dovrebbe accollarsi una responsabilità sproporzionata e che tutti gli Stati membri dovrebbero contribuire alla solidarietà su base costante”. Un incipit iniziale che vuole cercare di tendere la mano ai Paesi del sud Europa su cui ricade maggiormente il peso dei flussi migratori.

Tra le misure più importanti del nuovo Patto europeo, c’è indubbiamente lo screening, una procedura di identificazione alle frontiere esterne. L’iter comprenderà anche controlli sanitari e di sicurezza, nonché il rilevamento delle impronte digitali e la registrazione nella banca dati Eurodac. Quest’ultima sarà aggiornata e rafforzata per rintracciare i movimenti non autorizzati e controllare l’immigrazione irregolare.

Dopo questo screening “le domande di asilo con scarse probabilità di essere accettate dovrebbero essere esaminate rapidamente senza richiedere l'ingresso legale nel territorio dello Stato membro”, si legge nel documento. Con lo snellimento della burocrazia e con la rapidità di giudizio si rischia di non analizzare correttamente ogni singola richiesta. Tuttavia, lo screening di frontiera non si applicherebbe ai migranti più vulnerabili, come nel caso dei minori non accompagnati e dei minori di età di 12 anni che vengono insieme alle loro famiglie.

Dopo la prima identificazione, per coloro la cui domanda è stata respinta viene avviata immediatamente una procedura unionale di rimpatrio alla frontiera, una misura che a detta del Regolamento “invierebbe un chiaro segnale ai trafficanti”. È proprio in questo secondo passaggio che dovrebbe scattare il meccanismo di solidarietà europeo, che viaggerà su due binari diversi: quello della ricollocazione del migrante verso altri Stati membri e quello della sponsorizzazione del rimpatrio verso il loro Paese d’origine.

In quest’ultimo caso, gli Stati membri dovranno fornire supporto economico oppure operativo agli Stati che si trovano più sotto sottopressione. Se il rimpatrio non avviene entro otto mesi (lasso temporale ritenuto troppo breve dagli esperti in materia), lo Stato sponsorizzato che ha fallito nelle procedure dovrà accogliere obbligatoriamente il migrante nel suo territorio. Sarà la fortuna o la lentezza burocratica dei rimpatri verso i Paesi terzi a garantire un futuro in Europa a coloro che non possono essere accolti come richiedenti asilo.

Gli Stati del gruppo di Visegrad potrebbero occuparsi del rimpatrio di immigrati giunti sul territorio italiano, spagnolo o greco: il meccanismo, invece di snellire le procedure, le rende più farraginose. Inoltre “gli Stati membri avranno la flessibilità di decidere se e in quale misura ripartire il proprio impegno tra i due tipi di misure” rimettendo ancora una volta ai singoli Paesi la volontà di aiutare quelli più in difficoltà. La linea politica ha portato a giorni di attesa infiniti per lo sbarco dei migranti, basti pensare ai casi delle navi Gregoretti e Diciotti. Per dare piena efficacia ai piani comuni di rimpatrio il Patto aumenta i poteri di Frontex, l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, fondata nel 2004 con l’obiettivo di controllare i confini esterni dell’Unione. Frontex diventerà il braccio operativo in materia di rimpatri e coordinerà le procedure di riammissione dei migranti tra gli Stati membri e i Paesi terzi.

Un altro punto fondamentale su cui si basa il Patto europeo riguarda l'ampliamento dei flussi migratori legali connessi al mondo del lavoro. L’idea è quella di “costituire un bacino di talenti dell'Ue per i lavoratori qualificati provenienti da Paesi terzi, che potrebbe fungere da piattaforma a livello di Unione per le assunzioni internazionali”. Una proposta che sembra rispondere a logiche aziendali e di mercato del lavoro interno.

Il Patto avanzato dalla Commissione sarà discusso nelle prossime settimane sia dal Parlamento che dal Consiglio europeo. Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha già affermato di essere fiduciosa per l’approvazione del testo entro il mese di dicembre, una previsione troppo ottimistica visto il tema delicato che da anni divide gli attuali 27 Stati membri.

Inoltre, la Commissione ha deciso di istituire anche una nuova Agenzia dell’Unione europea per l’asilo, organismo che dovrebbe fare da collante tra gli organi dell’Unione e le esigenze dei singoli Stati membri. Verrà rafforzata “la cooperazione con i Paesi di origine e di transito per prevenire i viaggi pericolosi e gli attraversamenti irregolari”, si legge nel documento. Una cooperazione che procederà anche attraverso dei partenariati ad hoc con i singoli paesi terzi. È quanto accaduto con la Libia, dove pur di bloccare l’immigrazione irregolare si è preferito lasciare i migranti nei centri di detenzione, nonostante le denunce delle Nazioni unite su ciò che accadeva lì dentro.

Ancora una volta non si è giunti al superamento del tanto criticato Regolamento di Dublino adottato nel 1990 e riformato nel 2013. Ciò che emerge dal testo è il voler dare vita a procedure più fluide, brevi e semplici, che rischierebbero di trattare con maggiore superficialità le richieste di protezione dei migranti. Nel testo ricorre frequentemente un linguaggio che criminalizza lo straniero. Si leggono frasi come: “Occorre rafforzare il sistema ed eliminare le scappatoie”, “effettuare gli accertamenti se una persona elude i controlli di frontiera” e “ad esempio la fuga di un richiedente”. Un lessico basato su un atteggiamento securitario e colpevolizzante.

Con questo impianto avremo un’Europa che si chiude su se stessa e pensa a rendere più efficienti i rimpatri piuttosto che a dare vita ad un modello di integrazione comune volto a diminuire l’emarginazione sociale dei migranti arrivati sul suo territorio.

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