I ragazzi del coordinamento provinciale di Libera assieme al nucleo dei carabinieri di Vibo Valentia
I ragazzi del coordinamento provinciale di Libera assieme al nucleo dei carabinieri di Vibo Valentia

Si resti arrinesci, ovvero: rinascere in terra di 'ndrangheta

Ci chiamano "i ragazzi di Libera". In territorio vibonese vedere giovani tra i 14 e i 18 anni impegnarsi per contrastare il sistema 'ndranghetistico non era la normalità, ma non ci siamo fermati perché restare può voler dire anche rinascere. E così da qualche mese a Vibo Valentia si respira un'aria nuova

Francesca Pagnotta

Francesca PagnottaCoordinamento provinciale Libera Vibo Valentia

16 maggio 2020

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Sette locali, 33 'ndrine,162.516 abitanti e 50 comuni dei quali 24 sciolti per infiltrazioni mafiose dal 1991 al 2020. Questa è la realtà che a primo impatto si ha della provincia di Vibo Valentia. Una provincia che secondo le ultime statistiche nazionali risulta collocarsi all’ultimo posto come qualità della vita e fra i primi come paese con un’alta densità criminale. Vibo Valentia oggi è il luogo dalla quale quasi tutti i giovani scappano, perché non si hanno le strade sulle quali camminare, figuriamoci un prospettiva lavorativa. È una provincia che sembra essere destinata all’oblio, perché chi ci vive non crede più nel futuro della propria terra e nella possibilità di creare qualcosa di genuino che la faccia rinascere. Che ci faccia rinascere. 

Negli ultimi decenni, il potere 'ndranghetistico sul territorio vibonese è diventato aberrante e distruttivo. Un potere che viene esercitato non solo sulle attività locali, attraverso “la mazzetta”, e che quindi mette in ginocchio l’intera economia imprenditoriale del territorio, ma anche e soprattutto sull’intera società vibonese. Una società che si gira dall’altra parte e nella quale il concetto di omertà e di familismo amorale è cosi radicato che si sta perdendo il senso di dignità umana, il concetto di responsabilità e soprattutto non si ha più la voglia di coniugare la voce del verbo restare. Ed è da questa staticità e delusione generale nella quale la società vibonese risulta esser caduta che abbiamo deciso, noi  giovani del territorio, provenienti tutti da zone diverse, di non indignarci solamente ma di muoverci anche.

"Ritornerai?" è il titolo di un murales di Andria (Puglia). Ed è la domanda fatta a molti giovani che scelgono di partire.

L’indignazione che abbiamo sentito così forte ci ha fatti arrabbiare e infuocare: di piangerci addosso non ne avevamo proprio il tempo. Ci siamo conosciuti, formati e allo stesso tempo uniti. Abbiamo fatto delle nostre idee e dei nostri ideali degli elementi catalizzatori per attuare una vera e propria educazione culturale della società vibonese, che avesse come obiettivo l'abbattimento di quello che sembrava l’invalicabile muro dell’indifferenza sociale. Abbiamo cercato e stiamo tutt’ora cercando di attuare il criterio del “si resti arrinesci”: se resti rinasci.

Restare per far rinascere il nostro territorio, restare per resistere, restare perché il vento soffia e deve soffiare ancora. Un vento che oggi porta un aria nuova, che sa di trasparenza, collettività e che affonda le sue radici nel bene comune, nella resistenza e nell'umanità. Un vento che però deve essere incoraggiato e sostenuto da ognuno di noi che è chiamato in quanto cittadino a essere parte attiva del cambiamento. Il cambiamento che è un percorso, a volte tortuoso, fatto di parecchi ostacoli, ma anche un cambiamento che, se condiviso, diventa meno faticoso, più ricco e intenso.

Alcuni ci chiamano “i ragazzi di Libera”. Non vi nascondo che all’inizio per il territorio vibonese era strano che ragazzi dai 14 ai 18 anni decidessero di mettersi in gioco in un’associazione che da 25 anni cerca di contrastare il sistema mafioso, e che quindi risulta scomoda in un territorio con un alta presenza criminale. Ma ciò non ci ha fermati e non ci ha distolti dal nostro dovere morale di non girarci dall’altra parte, di non essere più complici con il nostro silenzio o il nostro scappare da un sistema che affonda le sue radici in un concetto distorto di onore, di vendetta insensata e violenza spietata.

Vibo Valentia non è solo la patria della malasanità e il teatro di feroci guerre fra 'ndrine. Grazie alle nuove generazioni è finalmente cominciata una rivoluzione culturale

Scegliere da che parte stare oggi è diventato quell’imperativo categorico capace di svegliare le nostre coscienze e indirizzarci verso quel concetto di responsabilità attiva che dovrebbe albergare in ogni calabrese onesto che di stare in silenzio si è proprio scocciato. Vibo Valentia non è solo la sua identificazione sul piano nazionale che la vede come la patria della malasanità e il teatro di feroci guerre fra 'ndrine. Vibo Valentia è il mare dal quale tornare perché essere calabresi vuol dire avere il mare dentro e non importa se sei di Briatico, Tropea o Nicotera: da qualsiasi zona tu lo veda è sempre in grado di darti le risposte che cerchi. Vibo sono i suoi sapori, la 'nduja, il buon vino, le frittelle e le zeppole, le chiacchiere e la pignolata. Vibo sono i suoi sentieri incontaminati e l’immensa bellezza che ti fa comprendere che la Calabria è formata dalle piccole cose e dai grandi paesaggi.

A Vibo da qualche mese a questa parte si respira un' aria nuova, un’aria pulita, un'aria che non sente più il peso ingombrante di esponenti delle cosche 'ndranghetistiche del territorio e non solo. Penso che ciò che sta succedendo nell’ultima provincia d’Italia sia una vera rivoluzione culturale, perché quella staticità che albergava nelle coscienze delle generazioni precedenti si sta tramutando nella dinamicità delle nuove e sta gettando quelli che sono dei veri e propri semi di speranza e bellezza contaminante.

#GiustaItalia è l'appello di Libera e altre associazione affinché dopo il coronavirus non si torni "a una normalità malata"

Don Ciotti ha più volte affermato che la parte giusta non è un luogo dove stare ma un orizzonte da raggiungere. Ecco, io penso che Vibo Valentia stia scegliendo da che parte stare e stia occupando quei luoghi che per troppo tempo sono stati occupati in maniera illegittima da soggetti che hanno cercato solo di distruggerla e di far in modo che la sua potente storia e la sua immensa bellezza venissero dimenticate. Riprenderci i nostri spazi, indignarci e darci da fare, scendere nelle piazze e gridare che questa terra è dei calabresi onesti e non di quella mano nera che cerca di identificarla. Questi penso siano i punti dai quali la società civile debba ripartire per inseguire quell’orizzonte di giustizia sociale e attuare quel concetto di democratizzazione dei nostri luoghi.

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